Il Vangelo di Luca conclude il racconto della nascita di Gesù dicendo che i pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro (Lc 2,20).
Mi sono sempre chiesto che cosa avessero udito mentre contemplavano la Sacra famiglia, se Maria o Giuseppe avessero detto qualcosa o se, semplicemente, Gesù Bambino avesse “parlato” loro direttamente, da cuore a cuore.
Durante il mese di ottobre sono stato a Taiwan, dove ho vissuto per dieci anni, per accompagnare il nostro superiore generale, don Paolo Sottopietra, in visita alla missione e ai nostri sacerdoti. Sono stati giorni molto belli. Come i pastori 2000 anni fa, anche noi abbiamo contemplato la presenza di Cristo che continua a parlare al cuore delle persone.
Durante un incontro di Scuola di comunità con alcuni giovani lavoratori abbiamo conosciuto Xiao-Fu, che ci ha raccontato del suo incontro con Gesù… Bambino.
Alla fine del 2021 un suo amico, non cattolico, viene lasciato dalla sua ragazza. Preso dalla tristezza lo chiama e gli propone di andare insieme alla messa cattolica della notte di Natale. Xiao-Fu, un po’ perplesso, acconsente. Si trova così a partecipare per la prima volta ad un rito cattolico, nella chiesa più grande di Taiwan, dedicata proprio alla Sacra Famiglia e guidata da sacerdoti gesuiti. “La notte di pace” – così è chiamata in cinese la messa della notte di Natale – è quella più frequentata in assoluto, dai cattolici ma anche da semplici curiosi attratti dalle luci, dai canti e dal nome stesso: “pace” è infatti una delle parole più significative della cultura cinese. Essa è formata da due caratteri: 平 (ping), il primo, indica la calma, la tranquillità data da un andamento costante, piatto, senza scossoni né ostacoli. Il secondo, 安 (an), indica la sicurezza e rappresenta una figura femminile sotto il tetto della sua casa.
Quella sera anche Xiao-Fu e il suo amico erano alla ricerca di questa pace del cuore, così rara e così necessaria oggigiorno per ognuno di noi, sempre immersi in mille cose da fare sotto la pressione di tante sollecitazioni. Era da tanti anni che Xiao-Fu la cercava, sin da quando era piccolo. Aveva percorso diverse strade immergendosi in particolare nel mondo buddista. “Ma dopo aver letto tantissimo e provato in tutti modi, lì la pace non l’ho trovata”, ci ha detto.
Invece, quella sera ha sperimentato ciò che forse era accaduto anche ai pastori di Betlemme: Gesù ha “parlato” direttamente al suo cuore, donandogli una pace che non aveva mai provato prima. Pur non capendo bene cosa stesse succedendo, né il significato profondo dei gesti e dei parole che vedeva e udiva, ha fatto in qualche modo esperienza di Lui, a tal punto da desiderare di conoscere meglio “il festeggiato”.
Così, dopo la sua prima messa è tornato spesso in chiesa alla ricerca di quella pace ed infine ha chiesto di frequentare il catechismo e di ricevere il battesimo. Nella notte di Pasqua di quest’anno ha ricevuto i tre sacramenti di iniziazione cristiana ed ha preso il nome di Agostino.
Forse anche noi abbiamo fatto la stessa esperienza di pace qualche volta, durante la liturgia o magari nella preghiera personale silenziosa. Capita a volte di sentir riecheggiare dentro di sé alcune parole dei salmi o del Vangelo, anche se spesso, presi dal razionalismo frettoloso e sommario in cui siamo immersi, non gli abbiamo dato peso, pensando di essere troppo sentimentali o addirittura “visionari”. O forse non crediamo che il Signore abbia qualcosa da dire proprio a noi, in una intimità esclusiva con Lui.
Quanto sono preziosi invece questi momenti di silenzio e di ascolto della Sua voce! Egli infatti, servendosi della voce della Chiesa, continua a parlare direttamente a ognuno di noi, a ogni cuore disposto ad ascoltarlo, per donargli la vera pace. Una pace che, come una donna sotto il suo tetto, è allo stesso tempo calma e in movimento.
Come Agostino, che la sera del nostro incontro di Scuola di comunità aveva invitato un suo amico nella speranza che anche lui potesse sperimentare la pace ed il calore di quella casa, dove, per rubare una frase al nostro Claudio Chieffo, «c’è Dio che ti aspetta e ti vuole parlare».
Nell’immagine, Giorgione, «Adorazione dei pastori», 1505.