Dopo qualche minuto dal mio arrivo a Nairobi, mentre osservavo quel nuovo mondo dai finestrini della macchina, mi sono chiesto come fosse possibile vivere in una tale miseria. Strade non asfaltate, a parte quelle principali, con enormi buche qua e là. Baracche ai bordi della strada dove vendono cibo impolverato e sporco. Persone ferme ad aspettare non so cosa oppure in cammino lungo stradoni sotto il sole cocente.
Poi ho incontrato tante persone. L’impressione iniziale di povertà non si è arrestata. Ho visitato malati che vivono in una casa di tre metri quadrati, con lamiere al posto del tetto, senza luce e senza acqua. Ho ascoltato storie di donne che subivano l’emarginazione più totale perché malate. Scacciate dalla famiglia si chiudevano in casa, non aspettando altro che l’ora della morte.
Stando con quelle persone ho però visto qualcosa che ad un primo sguardo non era visibile. A qualche giorno dal mio arrivo, ho incontrato un ragazzo disabile che veniva in parrocchia per passare un po’ di tempo assieme ad altri ragazzi con handicap. Appena sceso dall’autobus, gli ho dato la mano. Era un po’ sporco, scarpe completamente consumate. Il labbro inferiore sporgente gli impediva di deglutire bene la saliva. Al mio saluto imbarazzato, risponde muovendo lentamente la bocca, sussurrando qualcosa nella sua lingua madre. Riesco a malapena a capire il suo nome: Sam. Non sa una parola di inglese. Una strana apprensione mi prende. Come posso aiutarlo? Bisognerebbe trovargli delle scarpe. Almeno un fazzoletto per pulirgli naso e labbra. Il minimo indispensabile per un aspetto dignitoso. Invece lui mi guarda, mi sorride e mi abbraccia. Io mi irrigidisco. Voglio liberarmi il prima possibile. È così bisognoso di tutto eppure lui abbraccia me? Ma Sam non allenta la debole presa. Sento che dice qualcosa. Sta per entrare in chiesa, davanti al Santissimo che padre Alfonso sta esponendo. Sam è così povero che può essere completamente riempito di Dio soltanto. Ecco la sua gioia. In quel momento ho desiderato che quell’abbraccio non finisse mai.
Ciò che non è visibile, ma splende in questa opaca miseria è un’apertura, una leggerezza, una gioia originaria che muove la voce in canto, il corpo in danza, chi ti è vicino in ballo. I bambini giocano con qualsiasi cosa. Con un bastone, con un copertone, con niente. In una scuola elementare ho portato la chitarra. Appena l’hanno vista mi hanno assalito. Sono dovute intervenire le maestre. Erano completamente rapiti ed esaltati.
Così la mia domanda iniziale è cambiata. Cosa è essenziale per vivere? Una casa, una macchina, vestiti, cibo. Ma se il cuore non può cantare di gioia, cosa mi permetterà di non arrossire di fronte all’abbraccio di Sam? L’uomo deve avere il pane, ma il solo pane non fa altro che ritardare la morte. Solo il calore di Cristo può riempire l’animo di vita. E chi vive in questo luogo tremendo e meraviglioso lo sa e può essere lieto perché è ricco solo di Dio.