La sorpresa più grande

Celebrare oggi i santi del cielo vuol dire innanzitutto: “credo la vita eterna”, “credo la comunione che non finirà”, “credo la gioia, la luce e la festa che ci attende”, credo che nessun tormento del momento presente sia paragonabile alla gloria futura.

Beato Angelico, «Predella della pala di Fiesole», 1424

Cari fratelli e sorelle,

la solennità di Tutti i Santi che oggi celebriamo e la commemorazione dei fedeli defunti che vivremo domani fanno emergere dentro ciascuno di noi un interrogativo fondamentale: “Tutto finisce con la nostra morte o c’è qualcosa oltre di essa?”.
I popoli antichi, quelli culturalmente più evoluti, sentendo dentro di sé un’insopprimibile ingiustizia nella fine della vita (poiché tutta la vita vuole l’eternità), erano arrivati alla conclusione che fossero i figli, i nipoti, gli amici rimasti a eternare la memoria di chi se n’era andato inghiottito dalla morte oppure, per taluni privilegiati, le opere, le imprese, la gloria. Ognuno portava dentro di sé anche il sentimento chiaro della illusorietà di questo futuro. Riprendendo Omero[1], il poeta greco Mimnermo paragonava l’uomo a una foglia di autunno che si stacca dall’albero[2]. Qualche filosofo più acuto, come Platone per esempio, sospirava attendendo qualcuno che ci avrebbe portato oltre la morte. Poeti come Omero e Virgilio descrivevano un mondo dell’aldilà abitato da pallide ombre che non avevano nessuna consistenza, ma che pure esistevano a testimoniare la fede testarda dell’uomo che rifiuta la caduta nel nulla dei propri amori e delle proprie esperienze.
Se siamo qui oggi, è perché crediamo fermamente che esista una vita oltre la morte. La certezza di questo non deriva da una riflessione filosofica, ma dalla testimonianza che arriva fino a noi da duemila anni a questa parte: c’è chi ha visto Gesù risorto dai morti – non come un cadavere rianimato, ma come un essere personale – lo stesso Gesù di Nazareth di prima entrato in una nuova vita, corporea eppure non più soggetta allo spazio e al tempo. Egli ha voluto restare quaranta giorni con noi dopo la resurrezione proprio perché sapeva che questo era il messaggio più decisivo per il futuro dell’umanità. Se la vita finisce con la morte, se la morte è l’ultima parola, se nasciamo dal nulla per approdare al nulla anche la vita presente perde la sua bellezza e la sua ragionevolezza, finisce per diventare il luogo di una grande ingiustizia e di una grande guerra.
Oggi si parla poco della vita oltre la morte. È comprensibile che il mondo taccia su questo, perché non vi crede. È meno comprensibile che non ne parli la Chiesa, perché essa vive su questa fede. Il motivo per cui si parla poco della vita oltre la morte è perché si pensa – sbagliando – che quel pensiero possa togliere qualcosa alla vita presente. Marx e Feuerbach, per esempio, affermavano che i cristiani sono degli alienati perché pensando all’aldilà non lottano per l’aldiquà. Questo, forse, era anche il retro-pensiero di Nietzsche che si chiedeva: «Se Cristo è risorto, perché siete così tristi? Voi cristiani non avete un volto da persone redente»[3]. Sempre Nietzsche scrive: «Se si pone il baricentro della vita non nella vita, ma nell’“aldilà”, nel nulla, si è privata la vita del suo centro di gravità. La grande menzogna dell’immortalità personale distrugge ogni razionalità»[4]

Guardare alla vita eterne illumina la nostra percezione della vita nel tempo: l’omelia di mons. Camisasca nella solennità di tutti i santi.

In realtà, i maestri del sospetto – come li chiamerà Ricoeur[5] – parlano di un cristianesimo realmente esistito che è però una contraffazione di ciò che Cristo ha inaugurato. Credere ad una vita oltre la morte, infatti, rende più luminosa e più lucida la nostra percezione della vita nel tempo. Vorrei fare qui alcuni esempi: se tutto finisce con la morte, il nostro tempo è come “raccorciato” e si ha l’impressione di un’immensa sproporzione tra ciò che resta da fare e ciò che effettivamente possiamo compiere. Non basta il pensiero che altri continueranno ciò che noi abbiamo iniziato. Se non c’è vita oltre la morte, chi renderà giustizia ai bambini violentati, stuprati, ai piccoli sottratti alla vita e portati a combattere; ai popoli dimenticati, alle vittime della violenza e dell’odio, ai poveri, a chi non ha potuto avere nulla? Il pensiero dell’aldilà non ci distoglie dal combattimento per la giustizia sulla terra, ma nello stesso tempo non ci rende violenti quando questa giustizia si allontana o è negata. C’è un luogo in cui sarà resa giustizia a tutti e c’è un Signore, creatore e salvatore, che guarda ciascuno secondo le sue azioni e non secondo quello che gli uomini pensano di lui. Che dire poi dei milioni di martiri ingiustamente incarcerati, torturati e uccisi? È realtà viva di questi giorni. Che cosa può aver pensato Massimiliano Kolbe, che nel lager di Aushwitz ha offerto la sua vita per un uomo che non partecipava della sua fede e della sua speranza? Eppure si è offerto di morire al suo posto. Di fronte a questa ingiustizia, sapeva che sarebbe stata resa giustizia. Sapeva che la sua vita non andava verso il nulla, ma verso la luce; non verso la distruzione, ma verso la gloria.
Celebrare oggi i santi del cielo vuol dire innanzitutto: “credo la vita eterna”, “credo la comunione che non finirà”, “credo la gioia, la luce e la festa che ci attende”, credo che nessun tormento del momento presente sia paragonabile alla gloria futura (cfr. Rom 8,18).
Non è vero che lo sguardo sull’aldilà ci toglie dall’aldiquà, anzi esso genera in noi un’energia superiore ad ogni distrazione, ad ogni ingiustizia, e ci rende indomabili e liberi. Se tutto finisce con la morte, la vita è un grande inganno. Noi non amiamo le cose brevi e quelle che finiscono; non tolleriamo l’amore che si interrompe. Tutto ciò ci aiuta a credere ragionevolmente nella vita oltre la morte. Essa è una risposta che trova la sua ragione in una domanda molto profonda del nostro essere, la domanda del “per sempre”. Ciascuno di noi desidera essere per sempre, amare ed essere amato per sempre, conoscere la verità, vedere la giustizia e la bellezza. Eppure questa domanda, da sola, non potrebbe generare la certezza della fede, che poggia interamente non su un desiderio, ma su un fatto: la resurrezione di Cristo testimoniata dalla storia e sperimentata nella vita della Chiesa.
L’aldilà non è un prato di margheritine in cui saremo seduti a guardare Dio, ma è il luogo dove tutto ciò che di bene abbiamo vissuto sarà potenziato e continuato mille volte, tutto ciò che abbiamo desiderato troverà una risposta. L’aldilà sarà la più grande sorpresa che possiamo immaginare.

Già durante questa vita possiamo allargare il nostro cuore a questa sorpresa: tutto ciò che di bene, di bello, di amabile è seminato nelle ore dell’esistenza, è già un preannuncio del futuro che non finisce.
+ Massimo Camisasca

Omelia nella solennità diOgnissanti
Cattedrale di Reggio Emilia, 1° novembre 2020


[1] Cfr. Omero, Iliade, VI, vv. 146-149.

[2] Cfr. Mimnermo, Come le foglie.

[3] Cfr. J. Leclercq, Croire en J. C., p. 21. Cfr. anche F. W. Nietzsche, Umano, troppo umano, vol. 1, Adelphi, Milano 1979, 19956, 234.

[4] F. W. Nietzsche, L’anticristo, XLIII.

[5]Les maîtres du soupçon. Cfr. P. Ricoeur, Dell’interpretazione. Saggio su Freud (1965).

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