Da diversi mesi, l’emergenza sanitaria sta intensificando il nostro lavoro di sacerdoti in un campo delicato come l’accompagnamento alla morte. Qui in Spagna, tutto si svolge in obitori costruiti come piccole città, con decine di sale mortuarie ed ampi spazi ricreativi per accompagnare i parenti dei defunti. Il nuovo obitorio di Fuenlabrada è una costruzione asettica e impersonale. Tutto è fatto in modo tale da mantenere la morte lontana dall’esperienza quotidiana, un passo inevitabile da vivere, una parentesi che permetta di tornare quanto prima alla vita quotidiana. Non vi è una cappella ma una grande sala aconfessionale, con un crocefisso imponente che, secondo l’opportunità, si nasconde o si svela mediante una tenda di velluto rosso. Un esercito di impiegati e rigidi protocolli impongono ai sacerdoti norme scrupolose, rafforzate in questo tempo difficile, e costringono il rito in tempi molto stretti. La celebrazione della messa è esclusa: le famiglie che hanno un rapporto con la comunità chiedono di celebrarla dopo qualche tempo, in parrocchia.
Ho varcato centinaia di volte la porta dell’obitorio. Ogni giorno, devo fare memoria delle ragioni della mia presenza lì, della mia stessa vocazione.
Spesso, per motivi legali, non conosco nulla del defunto, tranne l’età e il nome. Non so se c’è stata una lunga malattia o se la morte è stata improvvisa. Non so se ci sono familiari o se la persona è morta sola… Tutto va intuito nei brevi istanti del colloquio con un familiare prima dell’inizio del rito. In pochi minuti, bisogna abbracciare un’ampia gamma di sentimenti: rabbia, rassegnazione, freddezza, o anche ostilità verso la fede. E proprio in quegli istanti, mi rendo conto che Dio mi sta chiamando ad essere compagnia per quelle persone attraverso qualche parola misurata, nella cura della celebrazione, con la solennità dei gesti.
La maggior parte delle volte, il sentimento che prevale è l’indifferenza, segno dell’ormai scarsa incidenza della fede nella società spagnola. Lo si vede specialmente nei giovani ma a volte anche nelle persone anziane. Non è raro trovarsi davanti a cento persone, nessuna delle quali conosce il Padre nostro o il segno della croce. Eppure, in qualche occasione, ho trovato anche un profondo sentimento religioso.
Ho appena celebrato le esequie di una persona anziana alla presenza della figlia accompagnata dal marito. Sono rimasto colpito dalla compostezza della signora: così, una volta terminato il rito, mi sono intrattenuto con lei in un dialogo a tutto campo, mettendo a nudo il cuore. Che opportunità preziosa per riscoprire il desiderio profondo che abita in noi, messo allo scoperto dalla circostanza dolorosa e inaspettata della morte! Non rivedrò più quella famiglia, come non ho rivisto le altre che ho incontrato in queste occasioni. Eppure, in quell’istante mi sono reso conto ancora una volta del privilegio che Cristo mi dona di essere la sua voce e la sua presenza consolatrice. Se la distanza sociale ci ha privato della vicinanza che costituiva una parte decisiva della nostra presenza all’obitorio, rimangono però gli sguardi oltre la mascherina, e le parole che sono chiamato a pronunciare per dare ragione alla speranza in un momento in cui il cuore dell’uomo ne è drammaticamente assetato.
(Tommaso Pedroli è parroco di San Juan Bautista, a Fuenlabrada, Spagna. Nella foto , un momento del campo estivo -2019- con i giovani della parrocchia. )