La realtà della testimonianza e del martirio contraddistingue profondamente l’identità del cristiano e della sua vita nella storia.
Siate miei testimoni
L’evangelista Luca alla fine del suo vangelo e all’inizio degli Atti degli apostoli che, come sappiamo, sono la continuazione del racconto della vita di Gesù, riferisce, nelle due versioni dell’ascensione, parole analoghe, pronunciate dal maestro prima di scomparire alla vista dei discepoli. In particolare Gesù si esprime così: Così sta scritto: Il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione ed il perdono dei peccati, […] di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso (Lc 24,46-49a). E all’inizio degli Atti: Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra (At 1,8). Gesù affida dunque alla parola testimoni l’ultimo suo messaggio agli apostoli. Essere testimoni vuol dire per gli apostoli essere stati con Gesù, avere partecipato alla sua passione e resurrezione. La testimonianza non nasce in loro da una decisione privata. È Dio che li ha scelti e ha mandato lo Spirito per renderli capaci di ciò che da soli non potevano neppure pensare.
Accogliendo questo insegnamento del Figlio di Dio comprendiamo che la testimonianza è la trasparenza di Gesù nella nostra vita, affinché la gente che incontriamo si apra al cambiamento del cuore e riceva il perdono dei peccati. Il testimone è dunque un uomo la cui esistenza vive della luce di un altro, vive per lasciare trasparire la luce di un altro, di colui che è tutta la ragione, la consistenza e la gioia della sua vita.
L’odio del mondo
L’evangelista Giovanni colloca le parole del maestro sulla testimonianza che i discepoli avrebbero dovuto rendere a Lui nel mondo all’interno di altre parole di Gesù sull’odio del mondo e sulle persecuzioni della prima comunità cristiana. Le parole di Gesù vengono così ad illuminare un’urgenza presente, forse anche la paura di alcuni o la smemoratezza di altri, o il tradimento di altri ancora. Lo Spirito di verità che procede dal Padre […] mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio (Gv 15, 26b-27). Le espressioni del Signore riportate dagli evangelisti risplendono in tutta la loro luce quando vengono guardate in rapporto a qualcosa che sta accadendo. Si trattava allora della separazione tra la Chiesa nascente ed il popolo di Israele, della cacciata dalle sinagoghe, ma anche dei primi riflessi delle persecuzioni romane. Per san Giovanni (ne parla fin dall’inizio del suo vangelo: cfr. Gv 1,4-10.11) è in atto nella storia, da Adamo fino all’ultimo uomo, una lotta fra le tenebre e la luce che attraversa la vita di ogni persona e interpella la libertà di ciascuno. Questa lotta rivela il mistero del rifiuto di fronte al quale si ferma anche la preghiera di Cristo: Non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato (Gv 17,9). Si comprendono così le parole del maestro sull’odio del mondo, parole oggi sconosciute alla maggioranza dei cristiani e anche dei preti. Io le ho sentite commentare da don Giussani un giovedì santo di tanti anni fa. Se il mondo vi odia sappiate che prima ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo (Gv 15,18-19a). Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra (Gv 15,20). Faranno ciò perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose affinché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato. Non ve l’ho detto dal principio, perché ero con voi (Gv 16,3-4).
Il contesto è drammatico, ma c’è una grande serenità nelle parole di Gesù. Non nasconde il terribile volto del male, che è odio di Cristo e del Padre, ma nello stesso tempo non esprime condanne, è più preoccupato per i suoi, affinché abbiano a vivere con consapevolezza e fiducia il tempo che li aspetta.
Come ogni secolo della storia anche il nostro è un tempo di lotta fra la luce e le tenebre. A noi che lo stiamo vivendo sembra, e forse lo è, un tempo particolarmente drammatico. Certo è un tempo in cui si stanno completamente ridisegnando i rapporti tra i popoli, le culture, le religioni. Un tempo in cui si presentano a noi le domande radicali.
Le persecuzioni di oggi
Le due forme principali di persecuzione anti-cristiana nel nostro tempo sono i fondamentalismi religiosi e il laicismo esasperato che vuole cancellare dalle leggi ogni residuo di visione dell’uomo e della vita nata dal cristianesimo in nome dei diritti dell’individuo. Queste persecuzioni sono speculari.
I fondamentalisti vivono di paura. Temono che possa accadere anche a loro ciò che accade nei paesi che un tempo erano baluardi del cristianesimo, l’infiltrazione del secolarismo, dell’edonismo, della pornografia. La loro è una reazione che nasce dall’incapacità di riflettere sul male e sulla storia. È una reazione cieca che reagisce con l’odio al terrore suscitato da ciò che viene identificato con il demonio. Risponde al demonio con armi demoniache.
L’Occidente dovrebbe riflettere su tutto ciò e noi cristiani riflettere sui grandi doni che abbiamo ricevuto, sui nostri compromessi con il mondo; sulla gioia, la luce e la pace, il centuplo che vive chi segue Cristo.
C’è poi la persecuzione sottile e penetrante che in nome dei diritti dell’individuo, attraverso i mass-media e i centri di potere economico, legislativo e giudiziario, vuole imporre una visione dell’umano in cui vengono cancellate le nostre responsabilità verso Dio, gli altri e in fondo noi stessi: non c’è più l’anziano, il figlio, il marito e la moglie, l’uomo, la donna… anche se tutto ciò viene coperto con una ipertrofia dell’intervento pubblico nel campo dell’assistenza e della cura.
Il testimone
Torniamo alla domanda fondamentale: chi è il testimone? Abbiamo sentito da san Giovanni: il testimone è colui che è stato con me fin dal principio. In senso stretto Gesù si riferisce agli apostoli, che hanno condiviso anche cronologicamente il suo inizio, in senso più profondo colui che sta con Gesù fin dal principio è colui che crede all’incarnazione del Verbo, che si apre alla rivelazione del Padre nella morte e resurrezione di Gesù. Tutto ciò infatti è l’inizio. Il testimone è colui che è stato conquistato, rapito dall’annuncio di questo inizio e portato dallo stesso Gesù a vedere e udire (cfr. 1Gv 1,1), a fare esperienza di questo inizio. Come dice san Giovanni nel folgorante incipit della sua prima lettera: Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato (1Gv 1,1)… La testimonianza perciò è molto più una necessità che un dovere.
All’origine di essa vi è dunque un’identificazione con la persona di Gesù come risposta al suo amore di predilezione. Non sempre questo rapporto avrà l’intensità di un sentimento, ma sempre questa intensità sarà domandata! Questa è la gioia di cui Cristo ha parlato e che vuole dare in abbondanza, in pienezza ai suoi amici. La gioia che Egli riceve dal Padre. La gioia che noi riceviamo da Cristo.
La testimonianza nasce da una comunione vissuta. Tutta la vita del Figlio è una testimonianza resa al Padre. Per questo lo ascolta, lo prega, fa ciò che il Padre gli dice di fare, ciò che a Lui piace. Lo testimonia davanti agli uomini, pubblicamente, senza paura, di fronte ai potenti dei tribunali e delle sinagoghe. Allo stesso modo anche il Padre e lo Spirito rendono testimonianza a Gesù.
Appaiono così due caratteristiche costitutive della testimonianza, così come Gesù l’ha vissuta e l’ha richiesta ai suoi: essa nasce dalla comunione e non è resa nel segreto del cuore, ma nel cuore della storia, di fronte agli uomini, nelle piazze.
Non si può essere testimoni nella solitudine. Il Figlio non teme la testimonianza di fronte ai potenti e agli accusatori perché il Padre è sempre con lui. Allo stesso modo noi possiamo essere segno di Gesù solo in una comunione vissuta e partecipata.
Testimoni della carità di Cristo
Il contenuto della testimonianza è la carità. La testimonianza dell’amore sino alla fine (cfr. Gv 13,1) è dunque il cristianesimo. È questo che ci sorprende nei santi, canonizzati e no, di ogni momento della storia della Chiesa: l’amore che non ha confini.
La morte non è mai desiderata dai cristiani. Essi però, piuttosto che rinnegare la vita che Cristo ha loro donato, il loro “essere di Cristo”, sono pronti a subire i più atroci flagelli e infine anche a morire.
Gli Atti dei martiri, che la Chiesa antica ci ha trasmesso, sono una testimonianza commovente di questo attaccamento alla vita vera, sono una professione di fede nella vita che non finisce. Il martirio, o almeno la possibilità di esso, era avvertito dai cristiani come essenziale alla fede, tanto che, dopo la fine delle persecuzioni, hanno desiderato vivere la medesima radicalità nella sequela di Cristo. È nato così il monachesimo. La verginità, la consegna totale di sé a Dio, è una nuova forma di martirio, di testimonianza quotidiana.
Le persecuzioni, in realtà, non sono mai terminate. La Chiesa, fedele a Cristo, ha rappresentato e continua a rappresentare una pietra di scandalo per il mondo. C’è in essa qualcosa di non assimilabile alla mentalità mondana, qualcosa che costituisce una minaccia perenne per il potere.
Basti pensare quanto costi, ancora oggi, dare testimonianza a Cristo nella vita quotidiana, al lavoro, in famiglia, a scuola.
Il XX secolo, in particolare, è stato il secolo dei martiri. Giovanni Paolo II ne ha elevati agli onori degli altari 286, e questi sono solo una minima parte delle innumerevoli schiere di cristiani che sotto il regime nazista o comunista, durante la persecuzione messicana e quella spagnola, in Cina e in Africa, hanno testimoniato con il sangue la loro appartenenza alla Chiesa.
Ancora oggi, come affermava il cardinal Ratzinger nel 1977 in un suo scritto ecclesiologico, la realtà del martirio ci indica – insieme alla vita consacrata – «dove si trovi la Chiesa» (cfr. J. Ratzinger, Perché siamo ancora nella Chiesa, Rizzoli, Milano 2008, 26).
Nessuno di noi può fissare per sé i confini della propria identificazione alla persona e alla missione di Cristo, ma nessuno può escludere la forma di martirio che Dio gli chiederà. E non è detto che la morte sia quella più terribile. Proprio per questa disponibilità a Dio la forma della testimonianza è sempre l’umiltà e mai la pretesa. C’è nel testimone di Cristo una umile sicurezza. Ciò che di più prezioso possiede non gli può essere tolto. Il martirio stabilisce la più potente analogia con la vita di Cristo: anche Gesù ha detto che nessuno gli può strappare la vita, ma egli può donarla liberamente (cfr. Gv 10,18).
Nell’immagine, «Persecuzione di san Giovanni Evangelista», cripta di San Magno (1237), cattedrale di Santa Maria, Anagni (Fr).