Durante gli studi di teologia in California, prima di entrare in seminario, andavo a trovare la mia famiglia una volta al mese. Durante una di quelle visite, verso la fine di un pomeriggio d’autunno, ero seduto in soggiorno a parlare con mia madre. Mentre la luce del sole spariva pian piano e ci lasciava a parlare nel buio, abbiamo cominciato a dialogare su un documento appena rilasciato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, riguardante i metodi di fecondazione assistita. Il documento aveva suscitato molto scalpore nella stampa, che denunciava la posizione della Chiesa come retrograda, tradizionalista e insensibile alla situazione delle donne nel mondo.
Mentre cercavo di difendere la Chiesa sull’argomento, mia madre mi ha sorpreso con una dichiarazione inaspettata. Ha emesso un lungo sospiro e poi ha detto: «Dobbiamo ammetterlo. Solo la Chiesa ha il coraggio di affermare la verità sull’essere umano. Nessun altro la conosce o la vuole dire». Non me lo aspettavo, da mia madre che per anni mi aveva espresso il suo pensiero critico sulla Chiesa, soprattutto in chiave femminista e relativista. Sentirla parlare della “verità sull’essere umano” e poi affiancare questa frase insolita alla Chiesa mi ha sorpreso.
Dopo qualche momento di silenzio, nell’oscurità della sera, le ho posto con molta trepidazione una domanda: «Mamma, allora, come mai non ti fai cattolica se tu credi che solo la Chiesa possiede la verità?». Dopo un gemito profondo, seguito da una risata amara, mi ha risposto: «Io e la verità abbiamo scelto strade diverse già da molto tempo. Non sono capace di vivere secondo la verità in nessun modo. Devo trovare il mio sentiero personale».
Ho riflettuto su quelle parole per molto tempo e ho capito che in un periodo della sua gioventù, dopo essere cresciuta con una povera educazione familiare e morale, lei aveva cercato una guida sicura nella vita. Ma l’attrazione iniziale alla Chiesa, sorta nel matrimonio con mio padre, che era cattolico, non aveva retto il confronto con la constatazione che la sua umanità era piena di limiti e debolezze. Il risultato era stato che lei si sentiva accusata e condannata dalla verità. E in seguito a ciò si era imbattuta in esperienze spirituali molto più relativistiche. Gesù dice che la verità ci libererà (cfr. Gv 8,32), ma per mia madre non era stato così. Ed era scappata.
Alcuni mesi più tardi, durante l’estate dopo il mio primo anno di seminario a Roma, Massimo Camisasca è venuto in California per conoscere la mia famiglia. È rimasto per tre giorni e poi è ripartito. Solo un mese dopo la mamma mi ha chiesto di accompagnarla nella parrocchia dove si è accostata di nuovo ai sacramenti quella mattina stessa. Ho aspettato molto tempo prima di rivolgerle le domande che avevo dentro. Quando, finalmente, ho trovato il coraggio, le ho chiesto: «Come mai fai questo passo adesso, all’età di 64 anni?». «Mentre don Massimo stava qui ho visto quanto ti ama la Chiesa», è stata la sua risposta. Il modo in cui amare, l’impossibilità di amare sono sempre state questioni brucianti per lei. Nella testimonianza di don Massimo lei aveva visto la possibilità della libertà e della salvezza.
Ciò che ci salva non è che la verità esiste e che si fa conoscere dagli uomini. Ciò che ci salva è che la verità ci si fa incontro con un gesto d’amore misericordioso. La verità non solo esiste, ma ci ama follemente. Mia madre non voleva essere misurata né giudicata dalla verità, però non poteva non chiedere di partecipare di quell’abbraccio amoroso della verità che aveva riconosciuto in don Massimo.