A fine ottobre sono stato a New York per partecipare ai funerali di un carissimo amico. Il suo nome è Lorenzo Albacete. A presiedere la cerimonia c’era il cardinal Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, che nella sua splendida omelia ha parlato della loro lunga amicizia. La Fraternità san Carlo si è stabilita negli Stati Uniti grazie al profondo rapporto che c’era tra questi due uomini di Dio.
Nel 1992 arrivai a Washington dopo che in tre anni avevamo fallito per due volte nel tentativo di stabilire una presenza della Fraternità qui in America, prima a Sacramento e poi a Tampa. Le ragioni di quell’insuccesso sono da attribuire anzitutto alla nostra iniziale mancanza di esperienza. Di fatto era il nostro primissimo tentativo di aprire una casa in missione. Allora chiesi al mio superiore il permesso di studiare per due anni all’Istituto Giovanni Paolo II presso l’Università Cattolica di Washington. Durante gli studi avrei potuto cercare il modo di proseguire quell’avventura, che più volte abbiamo seriamente pensato di abbandonare.
Giunsi nella capitale per il colloquio di ammissione all’Istituto, che avrei dovuto sostenere con un certo monsignore. Quando venni introdotto nel suo ufficio, incontrai per la prima volta Lorenzo Albacete. Mi sedetti, e lui cominciò a scherzare simpaticamente, come spesso faceva, finché a un certo punto arrivò a dire: «Non ho nessuna intenzione di farti il colloquio di ammissione: io e te stiamo per fare un patto». Al che, un po’ sorpreso, gli chiesi che tipo di patto avesse in mente. Mi rispose con molta franchezza: «Tu mi procuri la roba e io ti aiuto ad iscriverti all’Istituto». Molto perplesso, con numerose immagini di traffici ecclesiastici nella mia mente, gli domandai: «Che tipo di roba vuoi?». Al che lui: «Voglio tutta quella buona roba di Giussani che circola continuamente tra voi ciellini». Fu facile soddisfare la sua richiesta, con un nuovo libro di don Giussani appena uscito nelle librerie.
Quel primo divertente dialogo era tipico di Albacete, del quale il cardinal O’Malley ha detto durante l’omelia al funerale: «Graham Greene, Evelyn Waugh e Garcia Marquéz insieme non avrebbero abbastanza immaginazione e genialità per inventarsi un personaggio come monsignor Lorenzo Albacete. Solo Dio ha potuto modellare un Lorenzo, e subito dopo ha distrutto lo stampo perché il mondo non si meritava di avere due Lorenzi».
Nei mesi successivi crebbe una grande amicizia tra di noi, e alla fine decisi di chiedergli un consiglio a riguardo del nostro problema. Eravamo in un ristorante di Capitol Hill. Insieme a me c’era anche don Antonio López, allora seminarista. Durante il pranzo gli parlai del nostro desiderio di aprire una casa negli Usa e dei primi tentativi falliti. Lui scattò immediatamente e disse: «Ma certo, voi avete bisogno di essere introdotti nel refugium peccatorum!» e tirò fuori il suo cellulare per fare subito una telefonata. Dopo una serie di battute simpatiche, avevamo il nostro appuntamento con l’allora vescovo di Fall River, lo stesso O’Malley.
Questa volta il colloquio fu semplice e veloce: «Lorenzo mi ha parlato di te e della tua comunità. Allora, perché non venite a Fall River?». Detto, fatto. Finalmente avevamo un vescovo e una missione in America.
Nella foto, mons. Lorenzo Albacete (a destra), con il cardinale O’Malley.