Il vicario generale della Fraternità racconta come il dono totale di se stessi sia il centro della missione

Il più grande missionario in Cina, Matteo Ricci, scrisse nel 1596 il suo primo trattato in mandarino e lo intitolò Dell’amicizia. Un caso? No. Perché per Ricci l’amicizia era al tempo stesso il contenuto del suo annuncio e il metodo.

Ciò che, infatti, desidero comunicare andando in missione è che Dio è mio amico. Di più. Che Dio è in sé amicizia. Questo è il modo più semplice e concreto di intendere il significato della Trinità: amicizia, ovvero un amore assolutamente gratuito tra persone. Un amore che si rivela nella persona di Gesù, che muore e risorge per me e in questo modo mi salva e mi rivela che anch’io mi realizzo nell’esperienza di un amore simile. Mi rivela che anch’io sono fatto per amare ed essere amato così.

Questo è ciò che ci ha insegnato anche don Giussani: l’amicizia è la stoffa dell’essere, è ciò di cui è fatta la realtà. L’amicizia è, in questo modo, strappata all’ambito dei comportamenti e ricondotta al livello profondo dell’essere della persona. Noi siamo amici non per una ragione morale, ma perché amicizia è ciò che ci lega a Dio, è ciò che ci rende uguali a Lui. E amicizia è ciò che ci rende familiari i colori di un tramonto, il rumore di una cascata, la carezza gentile della brezza di primavera. La realtà ci è amica, ci corrisponde perché ha la nostra medesima origine. La missione è annunciare questa positività ultima della realtà, che ci rende amico chiunque incontriamo a qualsiasi latitudine si trovi perché immediatamente riconosciamo che ha la mia stessa origine e il mio stesso destino.

Ma allora l’amicizia indica anche il metodo della missione. Non serve «sublimità di parola o di sapienza» (1 Cor 2, 1), ma la condivisione gratuita della vita dell’altro fino a essere disposti a dare la vita per lui. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Il vertice dell’amore, dice Gesù, è l’amicizia intesa come dono gratuito e totale di sé. Nei posti in cui siamo mandati il bisogno più grande che troviamo nelle persone che incontriamo è che qualcuno condivida la loro vita, a cominciare da ciò che è importante per ciascuno di loro.

Come suonano vere e terribili le parole che scriveva Cesare Pavese nel suo diario, il giorno di Natale del 1937: «Che cosa importa di vivere con gli altri, quando di tutte le cose veramente importanti per ciascuno ciascun altro s’infischia?». La missione è innanzitutto affermare che tutto dell’altro mi interessa, che tutto di lui vale la pena di essere abbracciato e conosciuto perché tutto di noi è stato accolto e amato da colui che ci è più intimamente Amico. La missione è ridestare l’altro a cercare la sua verità, quella corrispondenza con la realtà che lo costituisce nel profondo. «Questo – dice Giussani – è il gesto supremo di amicizia». E questa è per noi la missione.

(foto Leonora Giovanazzi)

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