Una volta un mio caro amico mi ha scritto una frase che non ho più dimenticato. È rimasta in me come domanda per diversi anni e pian piano ne sto comprendendo il senso. La frase recitava così: “Dobbiamo sempre ringraziare il Signore per tutto ciò che ci dà, ma anche per ciò che ci toglie”.
È un’affermazione forte, eppure, se riflettiamo bene sulla nostra esperienza, possiamo intuirne la verità. Il pensiero va subito ai Vangeli, dove vediamo Gesù che dona tanto, anzi tutto di sé, “togliendo” il male dalla vita delle persone: malattie, possessioni, individualismi.
Ci sono però anche alcuni episodi in cui Cristo si dona, un po’ paradossalmente, attraverso una negazione diretta e dura. Diverse volte, infatti, Gesù non esaudisce le preghiere – o meglio le richieste – che gli vengono rivolte. “Dacci un segno” è la domanda che si è sentito più volte rivolgere e a cui lui non ha dato seguito. Altre volte impedisce alla gente di seguirlo, in alcuni momenti permette solo a pochi apostoli di stargli vicino, in altri rimprovera con veemenza, come quando caccia i mercanti dal tempio. Sono forse gesti di poca considerazione in cui si dimentica delle necessità degli uomini? O è piuttosto un aiuto a scoprire una necessità più vera?
Ci sono tante cose che sono un ostacolo al rapporto con Cristo e con la verità. La Quaresima è l’occasione per entrare in una visione più vera di noi stessi.
A volte il Signore ci toglie o non ci concede ciò che a noi sembra necessario per condurci a scoprire l’Unico necessario alla nostra vita. Ci sono tante cose, infatti, che più che un aiuto sono un ingombro e un ostacolo nel rapporto con Cristo e con la verità di noi stessi. Non è mai facile rinunciare ad esse, perché spesso distaccarcene costa fatica e dolore. Occorre quindi un cammino di affidamento fiducioso che ci faccia entrare in una visione più ampia della vita. Se accettiamo di compierlo, nel tempo scopriamo che le negazioni di Dio sono in realtà affermazioni più profonde, sono doni di carità, quella carità che è l’origine e lo scopo di ogni parola o gesto di Cristo.
Ciò mi si è chiarito ulteriormente riscoprendo il Cantico delle creature di san Francesco. Egli loda il Signore per tutto ciò che c’è: il sole e le stelle, l’acqua e il fuoco, gli uomini costruttori di pace e coloro che perdonano. Infine loda Dio anche per ciò che toglie la vita: “Laudato sii mi Signore per sora morte corporale”. Cosa c’è di più drammatico dello strappo della morte, del “no” al desiderio di vita che essa rappresenta? Sappiamo bene che Dio non ha voluto la morte, eppure, ogni morte, non solo quella fisica, è un misterioso dono di Dio e può essere strada per un sì più grande alla vita, alla vera vita. Ogni sacrificio può essere l’inizio di un attaccamento maggiore a “ciò che non muore mai”, proprio in forza dell’unico sacrifico redentore di Cristo. Esso ci strappa dall’idolatria con cui tante volte ci attacchiamo ai doni per riscoprire il donatore.
La Quaresima è l’occasione per vivere questo cammino di spoliazione ed entrare in una visione più vera e realistica di noi stessi. Attraverso la preghiera, il digiuno e l’elemosina, la Chiesa ci educa a lasciare le cose che ci appesantiscono, le zavorre, non per distaccarci dalla terra e dalla realtà, bensì per raggiungerne il cuore più profondo e poterne veramente godere. Don Giussani ci ha insegnato a chiamare questo modo di vivere verginità: un possesso più vero con un distacco dentro. I quaranta giorni che precedono la Settimana Santa sono quindi il tempo in cui imparare a guardare la realtà così come la guarda Cristo.
Nell’immagine, un pellegrinaggio alle reducciones gesuitiche dei parrocchiani di San Rafael (Asunción, Paraguay).