Da Vienna una meditazione sulla testimonianza come strada per la pienezza della vita.

Un giorno sono andato a correre lungo il Danubio e sulle colline di Vienna da cui si vede tutta la città. Ero con un’amica e, scendendo attraverso i vigneti nei colori dell’autunno, abbiamo parlato della felicità.
Tutto il mondo ti suggerisce “think positive”, “fai da te”, ma, se sei onesto con te stesso, capisci che la felicità non è qualcosa che puoi fabbricare. Essa nasce invece dalla scoperta di un Bene che ti trasforma. La felicità è per prima cosa una questione di attenzione. Occorre lasciarsi toccare dalle circostanze e dagli incontri nella vita quotidiana. Ecco che cosa è la testimonianza: lasciarsi provocare dalle persone che ci sono messe a fianco, la cui presenza aumenta l’attenzione verso l’unico Bene che importa veramente.
Penso per esempio ad un carissimo amico palestinese, un giovane ingegnere, che si sposerà a breve. È uno dei pochi palestinesi cristiani che ha intrapreso la strada dei suoi coetanei, ma al rovescio. Invece di emigrare e cercare una vita altrove, è tornato nella sua terra per rimanere. Dopo aver studiato in Inghilterra e in Canada, lo aspettavano una carriera e un futuro promettente. Anche la sua famiglia desiderava che stesse in occidente. Invece, a ventitré anni, ha scelto di tornare in Terra Santa, questa terra così benedetta e allo stesso tempo così tormentata. Così spiega la sua decisione: «Da cristiano ho una vocazione. Devo restare qui».
Un altro esempio è un’amica che vive a Vienna. Una volta mi ha raccontato la ragione per cui sta qui. Era venuta in Austria per fare l’Erasmus. Dopo quell’anno ha dovuto decidere dove continuare gli studi per scrivere poi la tesi di dottorato. A casa sua tutto era già pronto: il concorso vinto, una borsa di studio in tasca, la famiglia con cui stare, ecc. Nonostante queste comodità ha scelto di rimanere a Vienna, dovendo quindi cercare un professore, dei fondi per mantenersi e una casa per vivere. Un giorno le ho chiesto perché avesse fatto tutto questo e lei mi ha risposto così: «Attraverso di voi della cappellania universitaria ho incontrato Gesù. Nella mia università nessuno mi aveva mai parlato di lui. Non c’entrava niente. Invece a me importa. Voglio stare qui per poter continuare ad approfondire questo rapporto».

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