Un bambino sviluppa la consapevolezza di sé e di ciò che lo circonda attraverso il continuo imbattersi in nozioni o tecniche. Impara la tecnica del mangiare, dello stare seduto, impara a gestire i suoi movimenti, apprende varie nozioni e così, pian piano, scopre se stesso. Ma è indispensabile aggiungere un elemento in questo percorso: se il bambino non ha chiaro e radicato il suo rapporto d’affetto con le persone che lui sente come indispensabili per sé, è ampiamente probabile che qualcuno di questi meccanismi si inceppi. Perché? Potremmo dire che la sua coscienza delle cose è inseparabile dal suo rapporto con le persone che lo amano. Senza la coscienza delle cose non possiamo crescere. Nel legame tra madre e figlio, il bambino è sicuro che la mamma “sa”.
Sono rettore dell’Istituto Sant’Orsola di Roma, che comprende due scuole dell’infanzia, scuole primarie, secondarie e due licei. Mi piace partire dall’osservazione di ciò che avviene in un bambino di pochi anni per raccontare la mia esperienza e responsabilità educativa. In estrema sintesi sono chiamato a favorire la crescita integrale delle persone che quotidianamente mi vengono affidate. Si tratta in fondo di affrontare con gli allievi le “sfide” che la quotidianità ordinariamente presenta e, con il passare del tempo, collocarle sempre più esplicitamente nel loro orizzonte di senso, e quindi nel loro nesso con le domande profonde di verità e di bene che costituiscono il cuore. Nasciamo con delle potenzialità che, accompagnate e sviluppate, possono più facilmente mantenere vive queste domande, favorendo in ciascuno l’accorgersi del “fortunato” incontro con i suggerimenti di risposta che via via si presentano. L’esserci delle cose è un fortunato incontro. Anche la presenza degli altri lo è. Infine, l’incontro con Dio mi restituisce a me stesso, nel mio essere a Sua immagine e somiglianza.
L’atteggiamento con cui porsi per far crescere una persona è innanzitutto di rispetto, di attenzione e considerazione di quanto a questa persona accade. Una persona cresce libera e intelligente se sa fare domande. Suggerisco ai docenti e agli educatori di vivere l’avventura del conoscere e del crescere con gli allievi e non muoversi per loro. Si tratta di condividere i passi che siamo chiamati a fare e, stando insieme, ciascuno sarà chiamato a crescere secondo quell’aspetto che è il suo, che è proprio della sua vita. Il bambino farà il suo pezzo, l’adulto, nel rapporto con il bambino, potrà fare il suo pezzo. L’educazione è una dinamica che coinvolge tutti gli attori in gioco. Poi sappiamo che l’unico maestro è il Signore e tenere presente questo ci fa essere molto più seri con le nostre responsabilità ma anche più liberi.
Una comunità educante
Nell’insegnamento è essenziale la disponibilità a coinvolgersi personalmente nel percorso educativo indicato da una proposta precisa. Le persone che lavorano nella scuola devono essere secondo me innanzitutto sorridenti, con uno sguardo positivo sulla loro quotidianità, devono portarsi un bagaglio di esperienze buone, costruttive. Per quanto mi è possibile le cerco tra coloro che fanno una esperienza forte delle fede perché ho visto che la fede realmente rende capaci di maggiore intelligenza dell’umano, di maggiore dedizione alle persone, di maggiore consapevolezza della fragilità e quindi consapevoli della necessità di collaborare, condividere e portare insieme i problemi che di volta in volta si presentano. Chiedo loro di proporre nelle varie iniziative didattiche tutto ciò che nella loro vita ha fatto la differenza, ciò che è un valore aggiunto, che ha fatto maturare la consapevolezza di loro stessi. Non si tratta di riferire principi o ribadire ai ragazzi la “filosofia della scuola”. Si tratta piuttosto di essere scuola, cioè una comunità educante fatta del patrimonio che ciascuno porta per condividere e arricchire gli obiettivi del lavoro che sono lo sviluppo della tradizione umana che la lunga storia della Chiesa ha valorizzato e ci ha consegnato, la tradizione che ora vive anche della nostra presenza.
L’entusiasmo svanisce se non avviene qualcosa nell’adulto, se si perde la coscienza di ciò che si fa e la responsabilità che ci è stata consegnata dai genitori dei nostri allievi e la responsabilità che ci è stata data da Dio, il quale un giorno potrebbe farci notare che la possibilità per la crescita di molti è stata affidata a noi e non ad altri. Spesso suggerisco ai docenti: «Se le cose non vanno con gli allievi, potremo ricominciare, aggiustare, ma questi giorni passati non torneranno, nessuno li renderà indietro a questi ragazzi». Il lavoro della scuola è veramente stancante, ma lo sviluppo insieme della coscienza del compito che Dio ci affida ci permette di essere stanchi e in pace, stanchi ma determinati a proseguire.
Le strade per fare apprendere
Qualche tempo fa ho provocato una classe di quinta elementare vietando ad alcuni allievi di fare i compiti assegnati per un’intera settimana. Subito sembravano entusiasti. Poi, però, hanno capito: non fare i compiti li avrebbe messi fuori dalla comunità scolastica, dal viaggio che stanno facendo con i loro compagni, il viaggio dell’imparare e del crescere. Uno di loro ha detto: «Possiamo farli lo stesso?». I bambini capivano che non fare i compiti era essere fuori dalla vita, dalla loro vita. Imparare è una opportunità preziosa. Imparare e studiare avviene in tanti modi e nessuno deve spaventarsi se un ragazzo non ha un feeling immediato con i libri di testo. Cerchiamo invece altri canali che gli permettano il gusto dell’apprendere! Non è possibile che non si abbia voglia di imparare. Lo scorso anno siamo stati due giorni a Subiaco e con mia grande sorpresa ho notato che uno degli allievi che solitamente a scuola, dietro al banco, tende ad essere resistente al lavoro ricordava a memoria tutti i dettagli degli affreschi visti sulla vita di san Benedetto; ne riferiva il contenuto, dove si trovavano, l’autore e le scelte stilistiche.
Il problema dell’imparare non c’è. Semmai c’è il problema di trovare le strade più adatte ad intercettare le capacità e il gusto di ciascuno nell’apprendere.
(Una gita a Gaeta con i ragazzi de «La Barca di Pietro», il “gruppo medie” del Centro Giovanile Monti Esquilino.)