Solo la proposta che Gesù fa ai giovani, tramite l’educazione e la vita insieme, può rispondere ai loro interrogativi più profondi.

Da quando sono diventato prete, insegno Fisica e Religione nelle scuole superiori. Ci sono mille ragioni che fanno di questo mestiere un lavoro meraviglioso, che corrisponde alla mia vocazione sacerdotale. Attraverso l’insegnamento nelle scuole cattoliche, innanzitutto, sono stato in grado di conoscere ragazzi e famiglie che mai sarei riuscito a incontrare in altri modi. Perché in America non è facile incontrarsi. L’ideale della società in cui vivo è creare una “bolla” perfetta dove non hai bisogno di niente se non delle persone che vuoi lasciare entrare. A causa del Covid, queste dinamiche sono diventate ancora più forti. Senza la scuola, non avrei mai conosciuto molti dei ragazzi che ho incontrato in questi anni. La high school, infatti, è un luogo dove persone diversissime si incontrano e si scontrano.
I miei studenti hanno due domande fondamentali: “A chi appartengo?” e “Chi sono?”. Nessuno di loro ha mai letto una riga di teologia, molti sono perfino lontani dalla fede, eppure nel loro cuore queste domande sono brucianti. L’ideologia gender, ad esempio, è affascinante per i ragazzi proprio perché risponde a queste domande, anche se poi offre risposte sbagliate.
Di recente, mi ha colpito un dialogo che ho avuto con una ex-studentessa, Keira, che oggi lavora in politica. Mi ha confessato di essere tornata alla fede dopo gli anni del liceo grazie ad alcuni gesti che avevamo fatto insieme, principalmente ritiri e giornate di Gioventù studentesca. Mi ha detto: “Guardando indietro, mi vergogno di quanto fossi materialista, al punto che arrivare a scuola con una Toyota Corolla era una specie di calvario. Mi faceva sentire esclusa dal giro dei ragazzi ricchi”. Keira aveva addirittura messo in crisi i rapporti con la sua famiglia perché non le davano la possibilità di avere una macchina all’altezza dello status che lei avrebbe voluto avere. La sua identità era racchiusa nelle cose che possedeva.
Mi rendo conto che il Signore mi ha mandato a questi ragazzi per testimoniare che Cristo è l’unico in grado di rivelare loro la loro stessa identità, il solo che li conosce veramente. Io, dall’esterno, posso capire qualcosa di quello che si agita nelle loro anime ma Cristo li comprende e li ama interamente.
Mi stupisco di come una parola posta da Cristo dentro le vite di questi ragazzi, magari attraverso un gesto fatto insieme o una battuta a cena, possa essere un seme che scava nel loro cuore e nel tempo li cambia.
Un aspetto costitutivo della mia proposta è vivere Gioventù studentesca insieme a loro: non si può comunicare Cristo semplicemente a parole o vincendo qualche discussione, anche perché in America i dibattiti su certi temi sono addirittura vietati. La risposta che Cristo dà, la si capisce solo se la si vede all’opera in una compagnia presente. Vivendo un’appartenenza più gratuita e trascinante di quella che offre il mondo, si può iniziare a prendere sul serio quello che Cristo propone. Amo l’insegnamento ma capisco che la risposta a ciò che i ragazzi desiderano è solo in una vita comune.
Per esempio, con i ragazzi di Gioventù studentesca partecipiamo a una caritativa con gli homeless di Boston, quella che Fr. Michael, un sacerdote della diocesi con cui è nata una profonda amicizia, chiama Christ in the City. Cerchiamo di incontrare queste persone che vivono per strada, le chiamiamo per nome, ascoltiamo le loro storie.
La prima volta che abbiamo partecipato, James, un ragazzo con una storia complicata e dolorosa, ha incontrato un senzatetto di nome Larry. Era a torso nudo, così gli abbiamo dato una maglietta e lui ha iniziato a raccontarci la sua vita. Da quel giorno, James cerca Larry ogni volta che viene in caritativa. Così James ha iniziato a capire che la sua vita è amata in modo profondo, unico e personale, proprio sperimentando lui per primo la possibilità di amare in questa maniera. Mi stupisce il metodo di Cristo, che chiede ai ragazzi di amare gratuitamente una persona sconosciuta per insegnare loro che sono fatti di un mistero infinito e avvolti in un grande amore.

 

Michele Benetti è in missione a Boston (Usa), dove insegna Fisica e Religione. Nella foto, lo skyline della città.

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