Il calore della carità, la chiarezza della fede, la luce della speranza. Alcuni brani di un recente intervento di don Massimo che pubblichiamo in occasione dei suoi settant’anni, compiuti il 3 novembre.

È un anno impegnativo, quello che mette insieme due anniversari importanti come i 30 anni della Fraternità san Carlo e i 70 del sacerdote che le ha dato vita. Fraternità e missione vuole festeggiare il compleanno di mons. Massimo Camisasca, pubblicando uno stralcio dell’intervento da lui tenuto a Milano, sabato 10 settembre, presso la parrocchia di San Carlo alla Ca’ Granda, durante una grande festa cui hanno partecipato centinaia di persone.

 

Penso che l’originalità della Fraternità stia tutta nella originalità del movimento di Cl, e cioè nella considerazione che il cuore del cristianesimo è l’incarnazione, e il cuore dell’incarnazione è il fatto di Dio divenuto uomo, vivo e incontrabile oggi dentro i particolari della vita. Raccontava don Giussani: «La sera in cui io sono andato in seminario avevo 11 anni, mi ha accompagnato mia mamma, era settembre, e ha cominciato a discutere con un’altra mamma se era il caso di mettere sul lettino mio e di suo figlio la trapunta piuttosto che solo una sovra-coperta. Mia mamma diceva: è già il momento della trapunta, sta già arrivando freddo». Dio si nascondeva in quel particolare, ci diceva Giussani, in quella trapunta, in quella attenzione di mia mamma in cui si rivelava la Sua presenza in me, ragazzino di 11 anni, che entravo in seminario.
Il fatto dell’incarnazione è un fatto così sconvolgente e così impossibile da trattenere dentro i nostri poveri concetti di uomini che dobbiamo ogni giorno riscoprirlo. Il movimento è stato per me la strada attraverso cui ho continuato a riscoprire l’evento dell’incarnazione. E la Fraternità, la grande strada in cui ho imparato l’incarnazione: nel fatto di vivere con altri. Ho imparato l’incarnazione perché ho vissuto 30 anni con altre persone, una comunità di 30, 40 persone, di seminaristi e preti. Dall’alba al tramonto, abbiamo vissuto insieme e l’unica ragione che ci teneva insieme era scoprire la presenza del Dio fatto uomo nella vita, nostra e dell’altro. A poco a poco ho scoperto che l’incarnazione voleva dire che i miei fratelli erano il sacramento più vicino di Gesù e che io non avrei più potuto vivere senza di loro: l’umanità di Gesù arrivava attraverso la loro alla mia, e le chiedeva un cambiamento continuo.
Dico questo perché per me è stato sorprendente, in questi anni, comprendere che il rinnovamento della vita della Chiesa nasce necessariamente e inevitabilmente da piccole comunità in cui si sperimenta, giorno dopo giorno, l’evento dell’incarnazione, un evento che dà gioia, speranza, sommuove l’esistenza, che ci offre una conoscenza rinnovata della persona di Gesù e ci apre a un contributo continuo di carità.
Marina chiedeva: «Adesso che da quattro anni sei vescovo, nella Chiesa dell’Emilia, cosa vedi nella Fraternità?». Vedo questo: che il presente e il futuro della Chiesa si giocherà nelle relazioni fra piccole comunità. Piccole comunità significative per le persone, in cui uomini e donne troveranno allo stesso tempo il calore della carità vissuta, la chiarezza di una fede trasparente e la luce di una speranza che le difficoltà del mondo non riescono a spegnere.
Questo è stato per me il grande insegnamento di Benedetto XVI a proposito delle piccole comunità che avrebbero costituito il futuro della Chiesa. Ritengo che questo insegnamento sia sempre più valido. Credo al rinnovarsi della vita della Chiesa dal basso; credo in un rinnovamento della vita della Chiesa in cui fede e carità si illuminino a vicenda. Perché la carità senza la fede è semplicemente una donazione patetica dell’uomo; ma la fede senza carità è la superbia di un’appartenenza che non rinnova ma che crea distanze e illusioni.
Dal mio punto di vista di vescovo in una diocesi, posso dire che la strada della Fraternità san Carlo mi si conferma come una strada vera, efficace, come una strada che non solo porta frutti nel presente ma che certamente ne porterà anche negli anni futuri; una strada in cui dobbiamo costituire delle reti. Reti fra comunità che vivono, seppure in forme e con storie diverse, gli stessi ideali di rinnovamento della vita della Chiesa e degli uomini, e che possano quindi costituire una luce per l’umanità.

 

(Nella foto, alcuni momenti della giornata del 10 settembre a Milano)

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