L’inizio della missione della Fraternità san Carlo in Inghilterra. Tanti incontri e un compito: vivere la vocazione per portare Cristo.

Esattamente un anno fa ho iniziato la mia missione inglese a Maidenhead nella parrocchia St. Edmund Campion. Cittadina nella periferia di Londra – vicina a Heathrow, l’aeroporto più grande d’Europa – gli abitanti sono soprattutto pendolari. Tante famiglie di giovani e una bellissima campagna sulle rive del Tamigi, con fattorie e foreste attorno. Guardando il cielo sempre in movimento, si capisce perché si siano commossi i pittori romantici come Turner.
Dopo più di vent’anni da prete, ero entusiasta di poter vivere finalmente l’ufficio sacerdotale più originario: essere pastore di un gregge attorno a una chiesa di campagna. Anche se vicina alla capitale, Maidenhead fa parte infatti della diocesi di Portsmouth, città sul mare a sud ovest di Londra. Il vescovo ha voluto una nostra presenza in forza della sua stima per il movimento. Ma un po’ di paure non mancavano, come per esempio quella di abitare da solo e tornare a parlare inglese dopo sedici anni di tedesco.

200 cups of tea…
Il primo fine settimana, durante le messe ho detto a tutti che ero disponibile a condividere la vita e che mi piaceva l’arte, la lettura, il buon mangiare e le passeggiate. Tanto per dare qualche pista. Molti hanno preso sul serio soprattutto le ultime due e sono piovuti gli inviti. Nel primo anno sono uscito circa duecento volte per una passeggiata nei boschi, un pranzo o una semplice cup of tea. Un anno dedicato ad osservare e conoscere.
Nella vita della parrocchia non manca la dimensione comunitaria. Le persone si aiutano nelle necessità quotidiane, con i bambini o quando sono malati. Accompagnare qualcuno in aeroporto è un gesto normale; come anche rivedersi ogni mattina portando i bambini a scuola. Un giorno dico ad una signora: «Qui si conoscono tutti!». Lei mi risponde: «Sì, ma tu stai portando Cristo a noi; questo ci mancava». Dunque il mio “programma” è vivere lì la mia vocazione, entrando in rapporto con queste persone.

Da persona a persona
Nonostante questa solidarietà, infatti, la mentalità non è cristiana, il metro con cui si guarda tutto non è Cristo. La stragrande maggioranza dei cattolici hanno ricevuto i sacramenti, ma non sono evangelizzati. Come questo fatto mi interroga? È vero che mi tocca vivere una certa solitudine a casa. Questo mi porta però a purificare la vita, prendendomi cura innanzitutto del mio rapporto personale con Cristo. Personale non significa intimistico, ma consapevole che Lui entra nella mia esistenza attraverso ogni circostanza.
Dentro i limiti dei tempi e delle distanze, metto a frutto la possibilità che mi è offerta di fare riferimento alla casa dei Memores Domini a Londra.
Tutto è iniziato con il mio andare: verso le persone della parrocchia, a scuola o in ospedale. Adesso sono loro che cominciano a venire da me. Un padre di famiglia ha chiesto il battesimo. Un altro mi chiede di confessarsi dopo trent’anni. Altri vorrebbero un aiuto davanti a importanti decisioni. Con un gruppo di mamme facciamo un brunch mensile dove emergono problematiche di ogni tipo. Anche alcune di loro tornano poi per parlare singolarmente.
Per adesso non ho un ufficio dove poter ricevere queste persone, dunque non si può cominciare dalle strutture. Ma vivendo così si può arrivare a costruirle, non seguendo un programma, ma la vita che, accadendo, chiede spazio.

Nell’immagine, W. Turner, «The Thames near Walton Bridges», 1807.

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