Tutto ciò che è vero e bello – scriveva Dostoevskij -, è sempre pieno di perdono. Tuttavia, il perdono è qualcosa che manca terribilmente nella nostra società, dove la prima accusa senza fondamento può diventare virale e rovinare definitivamente la reputazione di chiunque. Come scrive Erik Varden, nella prefazione al libro di Guillaume Tabard, Maïti. Resistenza e perdono, «Quanto sono necessari, allora, i racconti che parlano con autorità del significato e del potenziale trasformante del perdono».
Abbiamo scoperto la testimonianza di Maïti Girtanner proprio leggendo un libro di Varden, La solitudine spezzata. E ci ha colpito al punto che abbiamo deciso di tradurre l’intero testo dal francese e proporne la pubblicazione alla casa editrice Itaca. Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano (Mt 5,44): sono le parole di Gesù che zampillano nel cuore di Maïti nei momenti più duri. Parole con cui lei dialoga e combatte, ma che alla fine incarnano quello che la sua vita grida ai lettori di oggi.
Maïti è una ragazza svizzera nata nel 1922 da madre francese e padre svizzero, destinata a una brillante carriera da pianista. Si trova a vivere con la famiglia in Francia durante l’occupazione tedesca. Una giovane adolescente che, grazie anche alla conoscenza perfetta della lingua tedesca, si prodiga per aiutare la popolazione francese oppressa. Una storia simile a quella di tanti che non accettarono l’oppressione nazista e si spesero in innumerevoli azioni di resistenza, scommettendo sul bene invece che sul proprio tornaconto personale. Come molti di loro, fu catturata e torturata ma sopravvisse. Ciò che rende la sua storia unica è l’incontro con il giovane medico della Gestapo che l’aveva ridotta in fin di vita quarant’anni prima.
Maïti torna sugli eventi della sua vita dopo molto tempo e ne spiega lei stessa i motivi: «Se ho accettato dopo tanti anni di raccontare ciò che ho vissuto» – racconta – «non è per ricevere un qualche brevetto di resistenza o un attestato di bravura. Ma unicamente per aiutare coloro che attraversavano il tunnel del dubbio a percepire la fiamma della speranza, per mostrare a chi ha conosciuto l’umiliazione che il perdono è possibile». Ma naturalmente il perdono non si concede al vuoto. Così il lettore, insieme a Maïti, si ritrova faccia a faccia con il carnefice e con la realtà di una misericordia che non può essere un gesto generico, sentimentale e vago. Un gesto che sulle prime appare insensato alla mentalità del mondo ma che poi si rivela in tutta la sua fecondità. Ci ritroviamo a scorrere avidamente le pagine del libro per scoprire come va a finire questa storia, iniziata con un gesto che risveglia come una gelida secchiata d’acqua. E ci scopriamo meravigliati per la fede e la sofferenza quotidiana che costruiscono il percorso di Maïti verso il perdono. Un sentimento – e soprattutto un giudizio – che, lungo tutto il racconto, acquista profondità, tanto da essere meglio compreso a mano a mano che si avanza con la lettura.
Il perdono concesso non cambia, da un momento all’altro, la situazione della vittima, racconta Maïti, né elimina la sofferenza causata dal male subìto senza ragione. Richiede invece un lavoro graduale per obbedire alla realtà che si presenta così diversa dai nostri progetti. Il giudizio, che ci stupisce e ci provoca dalle pagine del libro, è chiarissimo: «Abbiamo tutti un valore infinito agli occhi di Dio. Il nostro valore viene da lì: non valiamo per quello che valgono i nostri meriti, valiamo per la quantità d’amore posta in noi da Dio».
Nella foto, una veduta della vallata del fiume Vienne.
Maïti Girtanner – Guillaume Tabard
Maïti. Resistenza e perdono
Itaca 2022
p. 144