«Date loro voi stessi da mangiare» (Mc 6,37). Molte volte ho pensato a queste parole con cui Gesù ha insegnato ai discepoli a guardare la numerosa folla che era accorsa, e le ho sentite ingiuste, come una sorta di ingiustizia di Gesù nei confronti dei suoi amici. Perché chiede loro una cosa impossibile? Nella risposta attonita dei discepoli si sente l’eco di parole che erano già state di Mosè, quando Dio lo aveva chiamato a guidare nel deserto il suo popolo: «Da dove prenderò la carne da dare a tutta questa gente? Non posso io da solo portare il peso di tutto questo popolo» (Nm 11,13). Questo pensiero ha attraversato anche me tante volte: è lo scandalo dell’Incarnazione. Lo ricordo presente soprattutto nel momento della mia ammissione agli ordini sacri. Mi domandavo: «Come è possibile che Dio veramente si doni a me… Se i miei superiori mi conoscessero veramente, se mi conoscessero bene, forse non si prenderebbero questo rischio».
Eppure certi rischi il Signore se li vuole prendere. E non lo fa per incoscienza, ma proprio perché ci conosce davvero. Conosce e ama in noi ciò che noi stessi facciamo fatica a riconoscere: il fatto che abbiamo ricevuto un dono, il dono che egli fa di se stesso. È lui che mi ha salvato. È lui che mi crea, che continuamente mi pone su un cammino arduo che io, da solo, non posso percorrere. E su questo cammino vuol venire verso di me, vuol mostrarmi che c’è già una vittoria in me. La sua vittoria nella mia vita è ciò di cui vado più fiero. Sono i tanti padri che Dio mi ha dato, attraverso i quali ha vinto le mie debolezze, attraverso i quali mi ha fatto innamorare. La sua vittoria nella mia vita sono i miei fratelli e i preti con cui vivo che, anche a quarant’anni, o sull’orlo dei cinquanta, vedo ancora dominati dal desiderio di cambiare, di convertirsi. È questa la presenza di Dio nella mia vita. Ciò che un tempo avvertivo come ingiusto, ciò che è stoltezza per chi non crede, si rivela invece sapienza e misericordia di Dio. È vero, ci chiede ciò che è impossibile. Ma ce lo chiede perché il suo sangue è versato per noi e per molti. Per molti: è la sua vittoria in noi che può realizzare tutto, cambiare ogni cosa, arrivare fino alle periferie dell’esistenza. «Date loro voi stessi da mangiare» (Mc 6,37).
Con quelle parole Gesù voleva far entrare i discepoli e voleva far entrare me nella conoscenza di un tempo nuovo che è cominciato da un dono che abbiamo ricevuto, da una vittoria che si è innestata nella nostra vita. Così quel giorno «tutti mangiarono a sazietà» (Mc 6,42). Ciò che i discepoli avevano ricevuto era già sufficiente per rispondere al desiderio di tutto il mondo. La tua vittoria in me, o Dio, ha «mutato il mio lamento in danza, mi hai tolto l’abito di sacco, mi hai rivestito di gioia, perché ti canti il mio cuore, senza tacere; Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre» (Sal 30,12-13).
Nell’immagine, «Il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci», Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.