Non è uno scherzo, fare il missionario in un Paese definito dal presidente Abraham Lincoln «l’ultima grande speranza della terra». Michael Carvill, dopo trent’anni passati in America, conferma: “Il progetto americano è un’utopia totalizzante. Ha una sua nobiltà perché esprime il desiderio dell’uomo di una vita bella, giusta e compiuta, ma si traduce nell’incapacità umana di realizzarla”. Michael è arrivato fin qui da Dublino sulle orme di Patrizio, il santo che in soli quarant’anni aveva convertito la pagana Irlanda facendone una nazione cattolicissima: alle prospettive vertiginose è abituato. Programmatore a Bruxelles nella prima metà degli anni ’80, scommette tutta la vita sull’incontro con una famiglia milanese: “Di quel viaggio a Milano, ricordo soprattutto gli universitari della Statale, ragazzi vivi, pieni di passione per Cristo. Quando ascoltai don Giussani parlare in pubblico, capii di trovarmi davanti all’origine dell’energia vitale che avevo percepito in loro e che mancava all’esperienza di Chiesa che avevo conosciuto. Fu un nuovo inizio”. Sono tanti gli studenti che, in quegli anni, vanno a studiare nelle università americane: “Sono nate così le prime comunità del movimento negli States”. Pochi anni dopo, nel 1989, anche lui vola a Sacramento, in California. È entrato nella Fraternità san Carlo e in America, meta della sua prima missione, resterà.
“Sono andato a fare il diacono in una parrocchia con il remoto desiderio che questo mio arrivo favorisse l’inizio di una presenza nostra, una casa, un modo di vivere. Ma la Chiesa americana era forte e non sentiva il bisogno che qualcuno venisse a comunicarle qualcosa. Adesso è diventata povera di spirito ma allora non lo era. I cattolici avevano costruito una specie di società parallela: scuole diffuse in tutto il Paese, High school in ogni diocesi, università tra le più rinomate, tantissimi ospedali. Era un’America che si sentiva già salvata”. Dopo una breve tappa in Florida, don Michael chiede di andare a Washington per la licenza. E all’Istituto Giovanni Paolo II incontra quel personaggio straordinario che era mons. Lorenzo Albacete, scomparso nel 2014. Albacete desidera approfondire il rapporto con il movimento. Raccomanda Michael al vescovo Sean O’Malley che lo invita nella sua diocesi. “Mi sono presentato dicendo che ero della Fraternità san Carlo e stavamo cercando la possibilità di stabilirci negli Stati Uniti: avevo capito che bisognava chiedere quello e niente di meno. Lui ci invitò a fondare una casa vicino a Boston. Così, dopo la licenza, sono arrivato a Fall River: con me, c’erano Vincent Nagle e Antonio López. Dopo sarebbero arrivati Luca Brancolini e José Medina”.
È un vescovo illuminato, O’Malley: stima i giovani preti arrivati dall’Italia e li frequenta volentieri. Ma le cose non sono facili: “I primi mesi, abbiamo vissuto nell’aula di una High school. Cucinavamo con un barbecue sul tetto. Poi, Vincent ed io fummo nominati cappellani universitari, Antonio studiava per il dottorato. La missione era rivolta soprattutto agli studenti ma ebbe poco successo. Sulla porta del mio ufficio c’era scritto Religion Resources Center: l’idea era che con la religione, come con la benzina, ogni tanto c’era bisogno di un pieno. Condividevo lo spazio con una donna-prete anglicana, una suora domenicana che vestiva da cow boy e una ebrea. Andavo d’accordo con lei, più che con le altre: almeno credeva nel principio di non contraddizione. Perché lì tutti hanno ragione e non c’è la possibilità di entrare nel merito di niente”.
Nel 2000, il vescovo affida loro un’altra parrocchia ad Attleboro, dove nasceranno il movimento, Gs, i Cavalieri. Don Accursio Ciaccio si occupa dei giovani, Nagle fa il cappellano in ospedale, Carvill il parroco. In questo periodo, nasce anche la casa di Boston, dove Lopez studia. Ma il calo delle vocazioni rende necessario mettere insieme più parrocchie e la nuova chiesa viene affidata ad altri. Rimasti ancora una volta senza un compito, i sacerdoti della San Carlo trovano un nuovo amico dietro due lettere arrivate alla Fraternità: si tratta di mons. Charles Chaput, vescovo di Denver. “I suoi inviti erano calorosi, voleva la nostra presenza. Ed eccoci alla parrocchia dove siamo adesso, Nativity of our Lord: senza debiti, con una scuola, popolazione giovane e tante famiglie, un campo di missione spettacolare”. È quasi un miracolo, dopo tanto vagare: 11.000 anime, 3.500 famiglie giovani, una popolazione cattolica al 25% composta soprattutto da bianchi e una comunità vietnamita molto fedele. “Ricordo la prima volta che misi piede a Broomfield: mi sembrò di essere sul set di The Truman show, un piccolo mondo perfetto. Erano persone soddisfatte del mondo che avevano costruito: ma poi, scavando, abbiamo ritrovato la fame e la sete di Dio”. A Michael e Accursio si aggiungono altri preti e seminaristi. “La domanda più difficile era: perché abbiamo bisogno di missionari, noi che siamo una perfetta parrocchia americana? Abbiamo risposto che, da Giovanni Paolo II in poi, ovunque è campo di missione. C’è un mondo che non conosce Cristo”. Fin dal primo momento, don Carvill chiede la presenza delle suore, le Missionarie di San Carlo. E loro arrivano. “Sono un grande aiuto, soprattutto con mogli e mamme in difficoltà. Hanno inventato un momento che qua chiamano Caffè e lacrime. Perché la tentazione è sempre affrontare la vita in modo sentimentale, il giudizio è debole”.
Qualcosa è cambiato, nella missione americana: una scelta, un’affezione, un senso di appartenenza. E sta nascendo il popolo che Michael sognava da ragazzo. “La missione è dilatare la casa: dopo le suore, abbiamo avuto una memor Domini che fa la preside della scuola. In quest’ultima fase, sono nate anche le «famiglie di Giovanni Paolo II»: gruppi di fraternità dove educare gli adulti alla vita e alla fede. Perché è vero che non si parte da un discorso ma bisogna offrire alle persone le ragioni di quello che si propone. L’adesione è stata immediata e piena di desiderio”. La scoperta più grande? “L’importanza della fedeltà nel tempo alle proposte. Devi essere fedele a un lavoro, anno dopo anno dopo anno”.
(Michael Carvill è parroco di Nativity of Our Lord, a Broomfield, Colorado, Usa. Sopra, durante una Via crucis con la comunità.)