Michele Baggi è stato ordinato sacerdote a giugno. Ci racconta la sua vocazione.

Ricordo la prima volta, a sedici anni, in cui fra me e me pensai: “Però! La vita del prete non è poi così male…”. Avevo conosciuto un sacerdote salesiano con cui era nata una bella amicizia. L’intuizione che avrei potuto essere felice in una esistenza come la sua mi fu suggerita dal vedere come lui vivesse gioiosamente e con passione la missione fra i giovani. Ma i tempi non erano ancora maturi. Più tardi, il Signore mi donò di innamorarmi di una ragazza assieme alla quale condivisi gli anni dell’università; e non ci pensai più. Ricordo però alcuni incontri con missionari che di tanto in tanto passavano in parrocchia, portando racconti e immagini dei paesi lontani nei quali vivevano. In me destavano curiosità e timore perché mi sentivo in qualche modo interpellato personalmente, come se mi dicessero: “E tu? Non vuoi venire?”.
Alle soglie della decisione per il matrimonio, intuii che la vita come l’avevo fino ad allora immaginata d’improvviso non mi bastava più. Così forzai un punto a capo, interrompendo un racconto che sembrava avviato verso una direzione precisa. Non la sentivo più mia ma non sapevo ancora che cosa avrei iniziato a scrivere sulla nuova riga. Gli anni di dottorato furono il tempo in cui il Signore mi mostrò quale progetto aveva su di me. Dopo un anno di solitudine e preghiera, Lui riprese a scrivere la mia vita con caratteri nuovi e inaspettati e mi donò la grazia di tanti amici con cui condividere la vita e la fede: incontrai il movimento di Comunione e liberazione.
La bellezza e profondità delle nuove amicizie, l’incontro con il carisma di don Giussani che mi fece riscoprire la ragionevolezza della fede ricevuta in famiglia, il fascino di una proposta di vita unitaria e totalizzante il cui centro è la persona di Cristo mi affascinarono e mi accompagnarono infine all’incontro con alcuni sacerdoti della Fraternità san Carlo. Riemerse così l’intuizione che avevo avuto da ragazzo. In quei sacerdoti, che avevano lasciato la loro terra, gli amici, il lavoro per essere missionari, mi colpì soprattutto l’e­sperienza di pienezza che vivevano. Il vuoto lasciato dal sacrificio che il Signore aveva loro richiesto era stato riempito con quel centuplo sovrabbondante che Gesù ha promesso a quanti lo seguono. Iniziò così una vera lotta tra me e il Signore: quanto più Lui mi affascinava e mi attraeva a sé, come il mare attira l’occhio di chi si trova a riva, tanto più io mi ritraevo intimorito di fronte a un orizzonte troppo vasto, e mi aggrappavo al senso di sicurezza che viene dall’impressione di avere il pieno controllo, il potere di decisione sulla vita.
Sentivo che, se avessi preso il mare, il timone sarebbe stato nelle mani di un Altro. Ma il Signore mi aveva già preparato un aiuto: una carissima amica della comunità di Cl d’improvviso mi comunicò che entrava come novizia in una casa dei Memores Domini. La scoperta che in un cuore vicino al mio era avvenuta la medesima lotta, il vedere con quanta gioia e serenità questa persona aveva deciso di seguire Cristo, furono per me una provocazione e un aiuto a fidarmi di Lui. Oggi la Sua fantasia mi ha condotto a Budapest, dove ho ricevuto il dono di una casa con tre fratelli e nuovi amici assieme ai quali crescere nel riconoscimento della Sua presenza nella mia vita. Qui scopro che, nell’abbandono a Lui e alla sua volontà, sta la mia felicità.

(Michele Baggi, 34 anni di origini friulane, è destinato alla casa di Budapest. A sinistra, nella foto, lo vediamo di fronte al Ponte della libertà, nel cuore della capitale ungherese). 

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