Francesco Montini è stato ordinato sacerdote nella celebrazione officiata da mons. Paolo Pezzi il 22 giugno, in Santa Maria Maggiore, a Roma. Ecco la storia della sua vocazione.

Un filo rosso. Trentasette anni non sono pochi. Per le statistiche ho già vissuto quasi metà della mia vita. Un filo rosso tiene unito ogni istante. Penso ai miei nonni. A mia nonna che mi insegnò a pregare. Andavo con lei a messa. Mi ha insegnato come Dio è una persona concreta e reale. Con mio nonno ho passato tantissimo tempo, allo stadio a vedere il Brescia o camminando sulle spiagge della Liguria d’estate. Quante cose mi fece capire, soprattutto che nella vita vale di più una stretta di mano che cento accordi davanti a un notaio.
Da bambino ricordo le partite a calcio come portiere, la domenica chierichetto alla messa, le corse in bicicletta per le vie di Rodengo dove vivevo con la mia famiglia e mio fratello Alberto. Poi il primo salto: Brescia, liceo classico. Mondo nuovo, la città. Con alcuni compagni nasce una bella amicizia. Eravamo vivi, sicuramente immaturi, ma volevamo essere una presenza. Nacque in me la passione per la politica fino a raggiungere alcune cariche a livello provinciale e regionale in uno dei partiti nati dopo la fine della Dc.
E proprio la passione per la politica fu l’appiglio perché il nostro professore di Filosofia entrasse in rapporto con noi. Quasi tutti i sabati, dopo la scuola, si parlava di politica, filosofia, storia, di Dio. Capii molti anni dopo che con noi faceva una sorta di raggio di Gioventù studentesca. Era una persona diversa dalle altre: ci proponeva di leggere autori che non avevo mai sentito. Mi invitò, dopo la maturità, al Meeting di Rimini. Rimasi affascinato. Quando non passai il test di Medicina, fu lui a suggerirmi Scienze politiche.
Altro salto, dalla città alla metropoli. Milano, la Cattolica, l’incontro con il Clu, anche se non sapevo bene cosa fosse. O meglio, sapevo bene chi erano: quelli che sapevano tutto, che avevano gli appunti di tutte le materie e organizzavano gruppetti di studio per passare gli esami più difficili. Mi attaccai a loro per comodità fino a quando un giorno mi resi conto che la fede che i miei genitori mi avevano insegnato, con il movimento prendeva un respiro più ampio e profondo. Fu il mio a Cl. Anni belli, di incontri, di presenza viva in università. Quanti volti, quante storie incontrate e il ragazzo che mi presentò al responsabile del Clu il mio primo giorno di Cattolica lo ritrovai più di dieci anni dopo con la sua famiglia durante il ritiro a Vitorchiano per il mio diaconato. Il filo rosso.
A 23 anni finisco l’università e mi arriva una proposta imperdibile: lavorare nell’ufficio stampa della Compagnia delle Opere. Primo incarico: i funerali di don Giussani. Anni intensi e belli, seguendo anche l’ufficio stampa del Banco alimentare e farmaceutico. Quante storie di povertà incontrate, quanti piccoli miracoli. A 25 anni, durante una confessione in Duomo, un prete mi dice: “Perché non ti fai prete?”. Lo smarrimento iniziale e la domanda che per un mese non mi lasciava tranquillo. Ne parlo con un amico sacerdote e inizio un cammino di verifica lungo quattro anni. Intanto arriva la proposta di scrivere di sport per un nuovo giornale online, ilsussidiario.net, e con il tempo assumere la responsabilità della redazione sportiva. Altri incontri, altri compagni di viaggio, verificando sempre l’ipotesi del sacerdozio. Poi un giorno, alla fine di aprile del 2011, dopo un colloquio con don Massimo, dissi il mio . Mi sentii amato. Era una domenica di primavera, un cielo azzurro, il primo caldo. Lì mi resi conto di come Dio, il mio cuore e la mia ragione stessero tutti sullo stesso piano. “Signore, ti do il mio , decidi tu cosa fare”.
Dopo pochi giorni, la telefonata di don Massimo: “Ti aspetto a Roma”. Sei anni in Boccea, tantissimi incontri e volti che hanno fatto un pezzo di strada con me. Gli anziani dell’ospizio, le famiglie del quartiere romano Spallette, i ragazzi del carcere minorile o quelli delle medie della Magliana, come le persone incontrate nell’anno in Kenya o nell’estate a Vienna o in questi due anni di Spagna. Un filo rosso che unisce tutto. Non solo Dio aveva messo un seme nel mio cuore, ma mi ha anche sempre protetto e non ha permesso che si spezzasse. Dentro il mio , il 22 di giugno, c’è il di tutti quelli che ho incontrato. Un filo rosso che unisce trentasette anni in una storia. Quella della mia vita.

(Nell’immagine, un momento dell’ordinazione presbiterale di don Francesco Montini, giugno 2019 – foto Masi)

Leggi anche

Tutti gli articoli