Ecco la storia della vocazione di don Emanuele, appena ordinato sacerdote.

Mi ha accompagnato, fin da bambino, la chiamata al sacerdozio. Non ricordo nessun episodio specifico tramite cui Dio suscitò in me questa “intuizione”, come la definì anni dopo don Massimo al nostro primo incontro. Sicuramente, la profonda esperienza di fede vissuta in famiglia è stato il primo modo con cui Dio l’ha formata e sostenuta. Poi, questa chiamata si è precisata quando ho ricevuto la prima comunione. Nei mesi successivi, avevo accolto la proposta di servire in parrocchia come chierichetto. Ricordo con gratitudine il rapporto di paternità con don Giuseppe, all’epoca parroco del paese. Lo accompagnavo nel giro di visite e benedizioni delle case. Quante persone ho visto ricevere conforto da quella visita! Così come ho visto tante altre rifiutarla. Ho potuto fare esperienza della paternità del sacerdote e del suo instancabile lavoro missionario.
All’approssimarsi della fine delle scuole elementari, ero perciò fermamente deciso ad entrare in seminario. Sapevo che mio padre sarebbe stato contrario perché intendeva iscrivermi alla scuola media La Traccia, fondata e gestita da genitori e insegnanti legati al movimento di Cl. Ne parlai al rettore del seminario minore di Bergamo, il quale si offerse di discuterne con mio padre che però rimase fermo nella sua decisione. Fu una scelta coraggiosa, la sua, dalla quale trassi frutti enormi. Alla fine della meravigliosa av­ventura a La Traccia, era forte in me il desiderio di vivere in prima persona l’esperienza cristiana in Comunione e liberazione.
Gli anni di Gioventù studentesca a Bergamo furono estremamente significativi. Lo studio in comune, le vacanze estive, la caritativa nel tempo libero, la recita quotidiana dell’Angelus, il lavoro creativo di critica della mentalità secolare diffusa nella scuola, l’organizzazione di eventi pubblici missionari… In tutto questo, Gs fu una vera e propria scuola di vita e di comunità cristiana. In quegli anni non ebbi però né il coraggio né la maturità di parlare apertamente della chiamata al sacerdozio con nessuno, nemmeno con don Antonio, che a quel tempo guidava Gs. E questa mia paura fu anche causa di tensione in una relazione affettiva vissuta in quegli anni. Quando mi iscrissi a Ingegneria, volevo lasciarmi tutto alle spalle. Pensavo: imparerò un mestiere e formerò una famiglia. Desideravo andare all’estero a studiare, seguendo le orme di quegli studenti del Politecnico che andavano in tutto il mondo non solo per fare carriera ma per testimoniare la fede e diffondere l’esperienza del movimento. In quegli anni a Milano, la vita si arricchì di amicizie gratuite e preziose. Allo stesso tempo, la mia vita di fede si era impoverita. Ad una vacanza estiva del Clu, fu invitato un neo laureato, Ruben, a raccontare della sua decisione di entrare in seminario nella Fraternità san Carlo. La sua storia fece vibrare quelle corde che avevo tentato di smorzare negli ultimi anni.
Finita la laurea triennale, colsi al volo l’occasione di proseguire gli studi in Ingegneria negli Stati Uniti. Furono anni fruttuosi, in cui ripresi a vivere con serietà ed entusiasmo. Ricominciai a pregare e riallacciai i rapporti con la piccola comunità locale del movimento, desiderando nuovamente di abbandonarmi totalmente a Dio. E fu così che mi imbattei di nuovo nei sacerdoti della Fraternità san Carlo, che viaggiavano da una parte all’altra degli States per servire le comunità del movimento. Decisi di farmi avanti: a uno di loro, don Luca, parlai della chiamata che sentivo dentro da anni. Poi, dopo un periodo di verifica, chiesi finalmente a don Massimo di poter entrare in seminario.

 

(Emanuele Fadini, nato a Calcinate (Bg) trentaquattro anni fa, è destinato a Broomfield, Colorado (Usa). Nella foto, durante una testimonianza allo stand della Fraternità san Carlo al Meeting di Rimini.)

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