Ho visitato la Basilica di San Paolo molte volte durante la mia lunga vita, ma la visita più indimenticabile è stata circa quindici anni fa, quando sono arrivato con il pellegrinaggio guidato dal metropolita Metodio, dal metropolita greco-ortodosso di Boston e da me, insieme a cento pellegrini, sacerdoti e laici, cattolici e ortodossi. Abbiamo visitato Roma e Costantinopoli incontrando Papa Benedetto e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo.
Uno dei momenti più intensi è stata la visita alla Basilica di San Paolo. Avevo contattato in anticipo e chiesto al Padre Abate di organizzare la visita in modo che qualcuno ci facesse da guida.
Quando siamo arrivati, l’Abate in persona ci stava aspettando e ci ha detto che avremmo iniziato con il servizio di preghiera da lui ideato. Il servizio consisteva nella lettura di San Paolo e di una lettera di San Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli e santo importante sia per i cattolici che per gli ortodossi.
Nella sua lettera, San Giovanni Crisostomo affermava il suo ardente desiderio di visitare Roma per recarsi nella chiesa di San Paolo e venerare le catene dell’Apostolo. L’Abate, dopo la lettura, ci ha mostrato le catene e invitato ad avvicinarci e a baciarle. È stato un momento molto intenso. Secoli di divisioni sono stati cancellati di fronte alle catene di Paolo. Molti di noi piangevano, è stata un’esperienza davvero emozionante.
L’evento certamente contrastava con qualcosa di piuttosto comico accaduto nella mia infanzia a Cleveland, Ohio, quando la parrocchia anglicana di San Paolo decise di vendere l’edificio della chiesa per trasferirsi in una zona residenziale più elegante.
La diocesi cattolica acquistò la chiesa anglicana di San Paolo e la ribattezzò: “La Conversione di San Paolo”. Questo fu il gesto, diciamo così, divertente del Vescovo irlandese e certamente non accadrebbe oggi nel mondo post-Vaticano II. Oggi la chiesa è gestita dai Frati Cappuccini e ospita una comunità di Clarisse. Mi piace il nome che è stato dato alla chiesa: “La Conversione di San Paolo”, perché la conversione di Paolo è uno degli eventi più importanti della storia. Nessuna conversione ha portato con sé risultati così importanti per il mondo intero come quella di Saulo persecutore, che diventa Paolo apostolo. Sono tante le descrizioni del suo drammatico incontro con il Signore risorto sulla via di Damasco; le troviamo negli Atti degli Apostoli e nei riferimenti in Galati, Filippesi e prima lettera ai Corinti. In queste descrizioni, vediamo come il Signore Risorto, alla stregua del Mastino del Cielo di Francis Thompson, insegue il suo acerrimo nemico e lo chiama ad una conversione radicale, al discepolato e al ministero.
Gesù vi sta chiamando a stare vicino al vostro gregge, a conoscerlo e a farvi conoscere da lui
Oggi, mentre ci riuniamo per ordinare questi uomini quali sacerdoti e diaconi di Cristo, siamo molto consapevoli che anche loro sono chiamati alla conversione, al discepolato e al ministero.
La vostra vocazione è partecipare al ministero di Gesù Cristo, il Buon Pastore. In tutti i miei anni come sacerdote e religioso, devo rilevare che nessuna frase usata da un papa è stata citata tanto quanto le parole di Papa Francesco nella sua omelia della messa crismale, quando disse che “Il pastore dovrebbe avere l’odore delle sue pecore”.
Questo è il tipo di pastore che Cristo vi chiama ad essere. Gesù vi sta chiamando a stare vicino al vostro gregge, a conoscerlo e a farvi conoscere da lui. Ricordatevi: ci sarà un test olfattivo.
Il fondamento essenziale del ministero sacerdotale è un profondo legame personale con Gesù Cristo. Ogni formazione e preparazione al sacerdozio è un’introduzione a questa amicizia. Il sacerdote deve essere un uomo che conosce Gesù intimamente, che lo ha incontrato e ha imparato ad amarlo. Per questo il sacerdote e il diacono devono essere soprattutto uomini di preghiera, veri “uomini spirituali”. Nel suo rapporto con Cristo, l’ordinato ha bisogno di scoprire che la sua vita non è orientata alla realizzazione di sé o al successo. La vita di un sacerdote non consiste nel costruirsi una vita interessante o comoda, o nel crearsi una comunità di ammiratori o devoti. La vita di un sacerdote consiste nel lavorare per un altro, per Cristo.
Chi lavora per Cristo è sempre consapevole che uno semina e un altro raccoglie. Il sacerdote non deve preoccuparsi incessantemente di se stesso; lascia l’esito al Signore. La condivisione del sacerdote dell’amore di Cristo per il suo popolo, della volontà di Cristo di salvarlo e aiutarlo, nasce da un’intima comunione con Cristo.
La vita di un sacerdote consiste nel lavorare per un altro, per Cristo
Nei Vangeli i discepoli imparano ad essere rappresentanti di Cristo: pastori che non comandano le persone, ma le nutrono perché quegli stessi pastori amano Cristo. “Se mi ami, pasci le mie pecore”. In un altro passo, Gesù riunisce i suoi discepoli per indicare la vedova che ha dato il suo ultimo soldo, tutto ciò che possedeva per vivere. Gesù non le dice nulla, lei non si accorge del suo sguardo: incarna ciò che Gesù aveva insegnato nel Discorso della Montagna: “Non fare l’elemosina per essere lodato dagli uomini”. Qui la mano sinistra non sa cosa sta facendo la mano destra.
Perché Nostro Signore convoca i discepoli per mostrare loro la vedova che fa la sua donazione al tempio?
Perché devono imparare ad accorgersi delle persone come lei. I discepoli, i pastori, devono avere un occhio per i piccoli. Gesù li chiama a sé perché imparino a vedere dal “suo punto di vista”. Devono essere stupiti da questo tipo di grandezza. Devono imparare a vedere chi è grande nel Regno dei Cieli. Gesù modella il loro sguardo affinché possano diventare pastori secondo il Suo stesso cuore. Gesù porta sempre le persone dalla periferia al centro della scena. Gli emarginati, i marginali, i ciechi, gli zoppi, i dispersi, i mendicanti, i pubblicani, le prostitute, i lebbrosi. Tutti diventano protagonisti del vangelo di Gesù. Per voi, sacerdoti e diaconi, i piccoli di Cristo sono i vostri cari e speciali amici.
Gesù insegna ai suoi discepoli ad essere maestri, insegna loro come insegnare, e cosa insegnare sul Regno, sulla preghiera, come usare le parabole… per sfidare le persone. Il sacerdote e il diacono oggi devono essere insegnanti e catechisti in quest’epoca di analfabetismo religioso. Siamo chiamati a insegnare come ha fatto Gesù, con amore e pazienza infinita, e con un ardente senso di missione.
In tutto il Vangelo vediamo Gesù insegnare ai discepoli ad essere pastori. Quando gli apostoli dicono: “Mandate via la gente!” Gesù dice: “No, dategli da mangiare”. Quando gli apostoli dicono: “Mandate via quei ragazzini!” Gesù dice: “No, portatemeli per una benedizione”. Quando litigano per i primi posti a tavola, Lui lava loro i piedi ed insegna loro a litigare per l’asciugamano! Infine, insegna loro la lezione più difficile: dare la vita per le persone, anche per quelle per cui importa meno. Il Buon Pastore, secondo la definizione di Cristo, è colui che dà la vita per il suo popolo. In tutte le cappelle delle suore di Madre Teresa, accanto al crocifisso sopra l’altare, c’è sempre un semplice cartello sul muro con la scritta: “Ho sete”. Sono le parole di Gesù, il Buon Pastore, nel momento stesso in cui dà la vita per il suo gregge. Ha sete della pecora smarrita. Ha sete di coloro che se ne sono andati, si sono allontanati o semplicemente si sono appisolati.
Un sacerdote deve avere quella stessa sete di anime. Quali sono i sentimenti del cuore sacerdotale di Gesù? Misericordia e sete di anime. Come un padre che si sacrifica per i suoi figli, un sacerdote deve fare sacrifici per il suo popolo.
Come un padre che si sacrifica per i suoi figli, un sacerdote deve fare sacrifici per il suo popolo
Uno dei sacerdoti più famosi della letteratura è stato un sacerdote di Tabasco, in Messico, protagonista de Il potere e la gloria di Graham Green. L’autore si recò in Messico nel 1939 per scrivere di quella che definì “la più feroce persecuzione della Chiesa cattolica dai tempi della regina Elisabetta I”. Il libro descrive l’ultimo sacerdote attivo nella vasta provincia di Tabasco e il fanatico luogotenente che gli dà la caccia come un animale, come Jean Valjean ne I Miserabili. L’eroe di Green è allo stesso tempo un antieroe. È l’unico sacerdote che non è fuggito, ma è un ubriacone, un uomo afflitto da molti difetti e debolezze umane. Eppure resta con la gente, rischiando costantemente la vita per portare loro i Sacramenti. Graham Green non dice mai il nome del sacerdote.
Quella drammatica frase conclusiva de Il potere e la gloria ci ricorda che il sacerdote perde qualcosa di sé per diventare un’icona vivente del Buon Pastore. Graham Green non dà i nomi ai suoi sacerdoti perché la loro individualità è oscurata dalla realtà del sacerdozio di Cristo che fa di loro una nuova creazione, uno strumento della presenza amorevole di Cristo in mezzo al suo popolo. Come sacerdoti, siamo vasi di argilla, ma il tesoro che portiamo è lo stesso. È la presenza del Buon Pastore che guarisce, che insegna, che pasce il suo gregge.
Graham Green invita i suoi lettori a guardare dentro le crepe dell’argilla per vedere il tesoro e l’unicità del sacerdozio. Il sacerdote deve apprendere una nuova identità: come afferma San Paolo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.
Nell’era del selfie stick, il sacerdote deve rinunciare a sé stesso, rivestirsi di Cristo e vivere per gli altri. Ricordate le parole di Giovanni Battista che dice: “Io non sono il Messia; Io non sono che un amico dello Sposo. Lui deve crescere, io devo diminuire”.
Viviamo in un mondo dove c’è fame di perdono, fame di significato, fame di comunione con Dio
Viviamo in un mondo dove c’è fame di perdono, fame di significato, fame di comunione con Dio. Dio ci ha dato un rimedio per questi grandi desideri nel sacerdozio di Gesù Cristo nel confessionale, sul pulpito e all’altare.
Oggi rendiamo grazie a Dio che è autore di doni così grandi. Continua a chiamare nuovi discepoli, nuovi apostoli, nuovi sacerdoti e diaconi.
Affidiamo questi uomini alla protezione amorevole di Maria, Madre del Buon Pastore: vi aiuti a meditare nel vostro cuore il dono e il mistero del sacerdozio, affinché ogni giorno possiate comprendere più chiaramente la vostra identità e abbracciare con maggiore generosità la vostra missione. Oggi, nel giorno della vostra ordinazione, vi dico ciò che Gesù disse ai suoi primi discepoli: “Ecco, i campi biondeggiano per la mietitura… Rimboccatevi le maniche”.