Pedagogia della libertà

Proponiamo un contributo di mons. Camisasca da un recente viaggio in Venezuela, in visita al monastero di Nuestra Señora de Coromoto a Humocaro.

Mons. Camisasca e don Luca De Chiara con la comunità del monastero delle Trappiste di Humocaro (Venezuela).

Sono tornato per la seconda volta in Venezuela, sempre per visitare lo stesso posto, il monastero trappista femminile di Nostra Signora di Coromoto, nel Nord del paese. Venti anni fa, il mio viaggio era stato determinato dal desiderio di tornare a vedere madre Cristiana Piccardo e altre sorelle che mi avevano fatto grande compagnia ai tempi in cui vivevano nel monastero di Vitorchiano.
Madre Cristiana, terminato il suo servizio abbaziale in quel monastero, aveva chiesto di trasferirsi in Venezuela, dove fu eletta badessa. Vive ancora qui. Ha 97 anni. Quest’anno ricorre il 40° anniversario di fondazione della trappa venezuelana. L’occasione è stata colta dalla madre per un piccolo convegno a cui ha invitato anche alcune sorelle delle fondazioni nate in questi anni da Vitorchiano. Tema del convegno: vivere la sinodalità. Io sono intervenuto con una relazione introduttiva in cui, tra l’altro, ho parlato della sinodalità nella Regola di san Benedetto.

Vorrei qui riportare soltanto qualche frase: «La sinodalità per Benedetto è ascoltare assieme ai fratelli le parole dell’abate, ma anche ascoltare assieme all’abate le parole di Dio. Il monaco è un uomo che vive in una comunità stabile, guidata da un abate, sotto una regola. In questo modo vanno perfezionandosi i protagonisti del cammino. Non più semplicemente un maestro con un discepolo-figlio, ma una comunità guidata. A tale comunità, per essere guidata, non basta l’abate, come all’abate non basta la sua comunità. Tutte e due sono sotto la guida di una regola. L’abate ha una autorità verso la comunità che non viene da lui. Egli deve rispondere di questa sua autorità, essendo il servo della sua comunità, ma, nello stesso tempo, la comunità è tenuta a vedere in lui il volto di Cristo, autore principale della Regola».

Ogni volta che nelle relazioni umane non si sottolinea soltanto il limite dell’altro, ma si dà comprensione ed amore, si rende l’altro più capace di se stesso.


Penso che tutti dobbiamo riflettere per approfondire questa intuizione. Ho chiamato il “camminare assieme” un rapporto triangolare in cui si possono descrivere le relazioni tra comunità, autorità e Cristo.
«L’abate rappresenta Cristo per la comunità, ma anche la comunità è Cristo per l’abate. Il loro rapporto non può mai essere descritto come una tensione risolta. Non basta che l’abate comandi e la comunità obbedisca. Il rispetto del mistero dell’altro e la coscienza dei propri difetti pone l’abate sotto l’autorità di Cristo, come nello stesso tempo la comunità e il singolo monaco non possono mai dimenticare che l’abate è il Signore in mezzo a loro».
Il centro del convegno sono state due lezioni, una di madre Cristiana e una di madre Monica, già badessa e ora priora di Valserena. Ambedue dedicate ad una pedagogia ecclesiale della libertà. Della prima delle due vorrei citare alcune frasi.
Commentando il capitolo ventunesimo di san Giovanni, che bene conosciamo, madre Cristiana ha detto: «Ogni volta che nelle relazioni umane non si sottolinea soltanto il limite, la povertà o la debolezza dell’altro, ma si dà comprensione ed amore, si rende l’altro più capace di se stesso, più capace anche lui di libertà e di gratuità. […] Se si continua a sottolineare il limite e il difetto non si educherà mai alla vera libertà. Questo si potrà fare solo aiutando l’altro a riconoscere il dono di grazia ricevuto da Dio, a svilupparlo e manifestarlo».
Quando saranno pubblicate tutte le relazioni di questo convegno, sarà utile per noi tornarvi sopra e dare il contributo della nostra riflessione.

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