“Tante volte io faccio le cose per niente, mentre loro sono persone che vivono e muoiono per qualcosa”. Ecco perché i ragazzi hanno ancora bisogno di ascoltare le storie dei santi.

Quando conobbi per la prima volta la figura di san Francesco fui sorpreso, impressionato e un po’ sconcertato nello scoprire che si riferiva a se stesso come “il Penitente”, al punto che, quando fondò il terz’ordine dei Francescani, li chiamò “I Penitenti di Assisi”. Facevo fatica a riconciliare la sua apertura e la sua gioia con il muso cupo di un penitente.
Con il tempo capii meglio. Cominciai a prendere più sul serio il ruolo della “penitenza” nella mia vita quando, da studente, mi iscrissi fra i volontari delle case di riposo.  Stando fra persone ormai prive di forza, notai che in loro emergevano spesso impulsi che non riuscivano più a nascondere: paura, ossessioni, risentimenti, rabbia e odio. Far finta e sopprimerli non era più possibile, per loro. Imparai che mantenere una “facciata”, a un certo punto, non è possibile. Avevo bisogno di dedicarmi a un lavoro di conversione vera.
Così iniziai ad accostarmi al sacramento della riconciliazione. Ma lo feci con la pretesa che il sacramento “mettesse in ordine” tutto il mio intimo, per non dover affrontare un giorno l’umiliazione di essere “scoperto” per ciò che ero: un uomo povero e meschino, un soggetto pietoso.
Questo lavoro non andò come speravo. Non riuscivo a scacciare via i demoni dal mio cuore e mi chiedevo se il sacramento fosse davvero un intervento di Cristo Salvatore.
Tuttavia un cambiamento inaspettato, pian piano, aveva luogo. Non consisteva nel fare piazza pulita dei tormenti interni: era invece una crescente gioia nel riconoscermi oggetto di divina misericordia proprio perché ero un soggetto pietoso. Non vivevo più nella paura di essere scoperto peccatore: lo ero. Una vera liberazione!
Cominciai a provare letizia nel definirmi “penitente”. La stessa liberazione dalla paura di essere scoperto faceva diminuire molto la forza dei miei peccati.  Potevo dire di sì a Cristo sempre di più, non perché non ero più peccatore, ma perché peccatore sempre più certo del Signore e orientato verso la casa del Padre attraverso il Figlio.  Sempre più penitente, sempre più allegro.
Così il segreto di san Francesco diventava un po’ anche il mio.  Il primo grande cambiamento non è di fuggire la nostra debolezza. Ma il crescente affidamento, con Cristo, alle mani del Padre.

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