Il matrimonio è risposta alla chiamata del Signore e il rapporto con Lui permette di donare la vita.

«Caro Vicente, devi sapere che tanti amici ci accompagnano e pregano per noi. La vita, figlio mio, è bellissima, sarà un incanto conoscerla. Se dovessi scegliere di nuovo questo tempo di attesa, lo farei mille volte per te».
Ogni domenica, non vedevo l’ora di portare la comunione a Lichi, che ha passato a letto – prima in ospedale e poi a casa – diversi mesi della sua gravidanza a rischio. Tutte le volte mi leggeva una pagina del diario che andava scrivendo. E così mi mostrava qualcosa di rivoluzionario e addirittura trasgressivo nel contesto del Cile odierno, dove si va imponendo l’idea che introdurre un figlio in questo mondo ingiusto e malvagio è una grande irresponsabilità. La qual cosa spesso è un modo per non dire che un figlio ti toglie la vita e che non si ha nulla di vero e di bello da offrirgli.
Incontrando la vita cristiana, Lichi ha scoperto che nel grande sì di Dio tutte le ferite della sua storia venivano abbracciate. La decisione di sposarsi era nata dal riconoscimento che il matrimonio con Alvaro era la forma con cui a lei era chiesto di rispondere al Signore e per questo mi aveva domandato di accompagnarli. Così è cominciato un cammino, insieme ad altre tre coppie di promessi sposi e ad alcune giovani famiglie. Durante un anno abbiamo guardato insieme tutti gli aspetti della vita matrimoniale, illuminati dalla lettura della storia di Chiara Corbella e suo marito Enrico, riportata nel libro Siamo nati e non moriremo mai più.
Dal reparto ospedaliero dove Lichi si trovava, tutte le mamme volevano andare via il prima possibile: “Io invece voglio restare, in modo che il nostro figlioletto cresca”. Per lei, infatti, ogni giorno era guadagnato perché Vicente formasse sempre di più i suoi organi.
Sulla scia della loro amica Chiara, Alvaro e Lichi dicevano il loro sì passo dopo passo. Insieme, sentivano come un onore il custodire il pezzo di mondo che in quel momento veniva loro affidato, quasi fosse un altare: “Il posto più bello del mondo è questa stanza di ospedale perché da qui passa il nostro cammino. Da Chiara sto imparando a lasciare entrare Gesù in ogni dettaglio” mi diceva. E aggiungeva: “Ho capito che la croce non si porta mai da soli. Il Signore la porta con me e diventa meno pesante, persino dolce”.
Ai tanti amici che la andavano a trovare in ospedale, Lichi mostrava quanto fosse necessario avere cura dell’essenziale, da cui tutto dipende: “Mi sono resa conto che questa settimana sono stata più affaticata perché mi mancava Cristo! Quando trascuro il rapporto con Lui, tutto mi spaventa e voglio evadere il cammino. Che invece è la cosa più bella”.
Anche la scelta del nome del figlio, Vicente, è nata da un riconoscimento: “Con il passare dei giorni, il nostro piccolo ci ha confermato che ha già vinto, è già un miracolo che ci sorprende continuamente”.
Il pomeriggio in cui sono corsi in ospedale e non sapevano cosa sarebbe stato di Vicente, erano già vincitori. Lichi diceva che l’impotenza e il dolore non potevano togliere loro la certezza che nulla li avrebbe separati dall’amore di Colui che aveva sempre vinto. Si sapevano sostenuti da tutta la storia della sua iniziativa, dalla sua fedeltà nei loro confronti: “È evidente che Lui è l’unico re della nostra vita, l’unico che è stato in grado di salvarci da tutte le nostre paure, stanchezze, dolori. Ogni giorno, ogni piccolo passo è stato sostenuto da Lui”.
Accompagnare “il piccolo miracolo” ha insegnato ad Alvaro e a Lichi che loro per primi sono generati e custoditi in ogni momento dall’Amore che li dà alla luce e dà loro luce per fare il passo di ogni giorno. È stato il rapporto con Cristo – alimentato nella preghiera, nei sacramenti e nella compagnia del gruppetto degli Amici di Chiara che poi è diventato un gruppo di fraternità – che ha permesso loro di donare la vita, sempre di nuovo. Donare la vita – imparavano – significa anche morire costantemente alle proprie immagini sull’altro e su come dovrebbero andare le cose. Questo ha dato un grande frutto: la riscoperta della verginità come forma vera dell’amore, nel rapporto tra loro e con il figlio. “Siamo felici perché certi che il Signore vince nella nostra vita e in quella di Vicente. Vediamo come ci sta costruendo, come ci sta rendendo più veri, più sposi, più padre e madre: una vera famiglia che guarda a Lui”.

 

Nella foto, un gruppo di giovani famiglie della parrocchia Beato Pietro Bonilli (Santiago del Cile) durante un pellegrinaggio.

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