Siamo tornati ai tempi della miseria evangelica. Tempi di un nuovo inizio. Tempi in cui un uomo parlava del Padre e alcuni poveri stavano accanto a lui. Questa, in sintesi, è la nostra missione di Novosibirsk e la piccola compagnia di amici con cui stiamo.
Lo scorso anno il vescovo mi ha affidato una seconda parrocchia che si trova a pochi chilometri da uno dei lager più spaventosi e temuti dell’epoca comunista. Lo stanno riscoprendo solo adesso, pochi lo conoscono. Lì migliaia di preti e di religiosi morirono e, nel punto in cui venivano fucilati e seppelliti, alcuni anni fa è scaturita una sorgente miracolosa, meta ora di pellegrinaggi e guarigioni. Anche io ci vado come pellegrino e malato, a meditare e a dialogare con i martiri della mia amata Russia. A volte porto con me qualche libro di Russia Cristiana e mi piace sempre rileggere la frase di uno starets che dice: «Se in Russia si serberanno anche solo pochi cristiani sinceri, Dio avrà pietà del paese. E questi giusti esistono: pochi cristiani sinceri». Questa è letteralmente l’esperienza che è data a me: io sperimento la speranza nel dono di pochi cristiani sinceri che sono un piccolo popolo che “prolunga” la nostra casa.
Quando dico la messa nelle mie parrocchie, al termine rimangono sempre con me alcuni poveri che stanno diventando amici anche tra loro. Questo mi commuove perché vedere in Russia persone amiche tra loro non è così frequente, è un vero e proprio miracolo.
Sperare per me è come il volo del bambino lanciato dalle braccia del padre sempre più in alto. La differenza tra me e il bambino è che io sono mandato così lontano e in rapporti così feriti da non vedere quasi più le braccia del padre. Eppure ne sono certo. Il sì di don Massimo, di don Paolo, del papa… tanti segni che non mi sono fatti mancare. Tanti segni che alimentano e rafforzano la mia speranza.