Chissà cosa proverebbe il fondatore, don Massimo Camisasca, oggi vescovo di Reggio Emilia e Guastalla, visitando lo stand della Fraternità San Carlo (C4), con la sua mostra “O Felice virum!”, dedicata alla figura dell’uomo felice, San Giuseppe, sposo di Maria e genitore del Salvatore, nonché patrono della Fraternità oggi guidata da don Paolo Sottopietra. Chissà quali sentimenti attraverserebbero l’animo di colui che padre è stato, e lo è ancora, di «una famiglia in due istituti», come ha definito il rapporto tra la Fraternità e le Missionarie di San Carlo che, dopo il riconoscimento dieci anni fa, dal 2019 godono di un governo, indipendente dai confratelli maggiori sacerdoti, ora affidato alla superiora suor Rachele Paiusco. Due fioriture, l’una già rigogliosa, l’altra solamente più giovane, che sbocciano da un unico ramo, proprio come i due germogli che spuntano dal bastone del nobile falegname nell’iconografia che campeggia sullo sfondo, alle spalle del bancone, dove è possibile, come ogni anno, rinnovare l’abbonamento a “Fraternità e Missione”, la loro rivista (in omaggio c’è la maglietta con la stampa del tema della mostra).
Innanzitutto uomini (e donne)
«Volevo essere felice come quel mio amico che stava per entrare in seminario», racconta un novello prete testimoniando le ragioni di una fede, maturata tra le scuole superiori e l’università e vissuta con pienezza fino al sorgere della vocazione, di fronte agli occhi sgranati di quanti sostano ad ascoltare quello che è solo uno tra i tanti incontri che quotidianamente animano il programma del giorno (lo potete consultare sul sito internet Sancarlo.org o in loco sulla lavagnetta appesa a una colonna all’interno dello stand). «E sentivo anche che quella strada poteva essere per me», prosegue il giovane uomo. Un uomo di cui Dio ha avuto bisogno, di lui come di quel centinaio di sacerdoti missionari che popolano, in gruppi di almeno tre, una moltitudine di case sparpagliate per una ventina di paesi in più d’un continente. Ora c’è anche un gruppo di missionarie (17 professe definitive, 8 temporanee e 7 novizie) che vivono, come loro e con loro, la passione per la gloria di Cristo nel mondo.
L’origine di una diversità
È una capacità di incontro, ascolto e abbraccio sorprendente quella che si percepisce, quasi magneticamente, avvicinandosi allo stand della Fraternità San Carlo in Fiera a Rimini. È così da anni ormai. Sembra che quando passano di lì, i visitatori siano come attratti da una misteriosa forza: tanto il ragazzino che sfreccia libero sullo skateboard quanto l’anziano e barbuto presbitero che si avvicina per salutare concisamente una giovane suora.
Caldi sorrisi e occhi vivi sorgono dietro le mascherine, che proprio non riescono a celare la grandezza di cuori avvinti alla presenza, palpabile, del Mistero. Sembra quasi di essere in chiesa. Dio fatto carne nelle membra di giovani donne, e uomini, che colpiscono per maturità e intelligenza, attenzione e capacità di accogliere. Ma osservandoli in azione si capisce che non stanno in piedi da soli, non brillano di luce propria: a sostenerli è proprio la fede. È la ricchezza di una storia, viva, che parte lontano.
Sulla panchina in silenzio
Il bel clima che si respira nei paraggi del temporaneo distaccamento della San Carlo presso i padiglioni – dove a dar man forte ai giovani seminaristi e alle novizie che governano sicure lo stand ci sono persino laici storici dell’amministrazione – si alimenta, almeno a tratti, di uno strano silenzio. Qualcuna lo cerca anche appartandosi con discrezione su di una panchina per preparare l’imminente testimonianza. Forse è il «silenzio di San Giuseppe», come si legge, sfogliando nel quartino che approfondisce i contenuti della mostra, in una citazione di Benedetto XVI; un silenzio che «non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione».
Una citazione che segue quelle di Francesco, Giovanni Paolo II, Bernardo di Chiaravalle, Adrienne von Speyr… quasi fossero una compagnia di giganti nella fede, a loro volta stupefatti testimoni del «segreto della grandezza di Giuseppe», notato da Paolo VI. Quale segreto? «L’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell’Incarnazione e alla missione redentrice che vi è congiunta». Che bello avere uomini e donne così come compagni di viaggio nel cammino al Destino.