È una terra in cerca d’identità, l’Ungheria che, all’indomani di elezioni che ne confermano la vocazione moderata, si appresta a scegliere per la sua Europa. Così emerge nella testimonianza di alcuni tra i ragazzi della nostra comunità più sensibili ai temi politici. Viktor Orban è stato riconfermato alla guida del Paese anche grazie alla stabilità economica ritrovata e alle politiche concentrate sulla creazione di posti di lavoro e sostegno alla famiglia. A dispetto di un’Europa rigorista e tecnocratica, di una Unione che «non ha ancora scelto cosa essere», come suggerisce Barna, laureato in Diritto all’Università Cattolica di Budapest e consigliere comunale del partito di maggioranza Fidesz. «È difficile per noi dire se l’Unione Europea sia un bene o un male: è una federazione o un’alleanza di Stati che dovrebbero rinunciare alla loro identità? E come dovrebbero rapportarsi tra loro?».
Se per gli ungheresi è evidente l’importanza di alcune direttive come l’eliminazione dei dazi o la libera circolazione, in Europa si percepisce il rischio di una neutralità che facilmente potrebbe sfociare nella mancanza d’identità. In attesa di capirci qualcosa, ciascuno tira l’acqua al suo mulino. «Di sicuro – prosegue Barna – l’appartenenza alla UE è stata vantaggiosa per l’Ungheria, almeno dal punto di vista del sostegno economico. Ma a questo si riduce l’Unione Europea per l’uomo della strada: una fonte di soldi a sostegno di opere pubbliche».
Più che di euroscetticismo, secondo l’esperienza di Nikolett, studentessa di Diritto e Scienze Politiche all’Università Cattolica di Budapest, si tratta di indifferenza: «Quando per strada incontri un cantiere per qualche lavoro pubblico, vedi un cartello dove c’è scritto che è stato finanziato da un dipartimento dell’Unione Europea. E qui finisce quello che, normalmente, noi ungheresi sappiamo dell’UE. Nonostante ciò, ci sentiamo più europei di quanto si pensi. In realtà, abbiamo sempre desiderato appartenere all’Europa, fin da quando santo Stefano, il re che offre la corona, cioè lo Stato, alla Vergine Maria, ha guardato ad Occidente. Ma oggi la nostra percezione è diversa». Un’indifferenza che nasce dalle delusioni. «In particolare, dal mancato sostegno di americani ed europei durante la rivoluzione del ‘56. Ma anche prima, quando nessuno aveva appoggiato l’Ungheria, baluardo dell’Europa contro le invasioni turche». Europei ma con riserva, dunque: «Quelli con cui abbiamo maggiore sintonia sono i polacchi. La visita di Giovanni Paolo II nel ‘91 fu significativa soprattutto perché era un Papa polacco».
Alla domanda su quale sia l’elemento che tiene insieme la cultura europea, Barna e Nikolett non hanno dubbi: il cristianesimo. Ma quanto è cristiana l’Europa? Secondo Barna, «quello religioso è un fattore sempre meno importante per gli ungheresi: la coscienza storica di avere difeso l’Europa dall’invasione islamica prevale sull’interesse per le radici cristiane. È una religione nazionale che si esprime a livello istituzionale ma non incide sulla vita quotidiana. Il fatto evidente che oggi l’UE non sostenga i valori cristiani e non riconosca il ruolo del cristianesimo, alla fine, non è così importante per gli ungheresi». «Nella nostra Costituzione è menzionato il cristianesimo – aggiunge Nikolett – e generalmente la Costituzione riflette la mentalità delle persone. In questo caso, credo che la menzione sia dovuta più ad un certo conservatorismo che ad una autentica fede di popolo. Lo stesso dicasi per la difesa della famiglia naturale e lo scarso appoggio alle unioni omosessuali, propagandate dai media ma percepite con estraneità dal popolo».
(picture by Moyan Brenn on Flickr)