La vocazione di Tommaso Badiani, novello sacerdote, in missione a Washington DC.

Alla fine del primo anno di seminario, ad ogni seminarista è chiesto di mettere per iscritto la propria vita. È un lavoro che permette ad ognuno di noi di tornare agli eventi fondativi attraverso cui Dio ha fatto maturare l’idea della vocazione. È un lavoro di memoria e gratitudine.
In occasione dell’ordinazione, vorrei nuovamente riguardare a tali eventi, cosciente che la ricchezza di questi trent’anni non può essere racchiusa in poche righe. Mi scuso in anticipo con chi leggerà. Per questioni di spazio, infatti, non potrò offrire molti dettagli sulle persone di cui parlerò. Ma non credo sia un problema. In fondo, chi conosce i dettagli della vita di Eliachìm o di Abiùd, due tra i tanti nomi della lunga genealogia all’inizio del vangelo di Matteo? Eppure sono nomi fondamentali, poiché ognuno di essi è un anello che porta a Cristo. Credo che il principio sia valido anche nel mio caso. Ogni nome è un anello che mi ha portato a Cristo. Sono comunque certo che i diretti interessati non avranno problemi a riconoscersi nelle mie parole.
Anzitutto, c’è la famiglia: mio babbo Giovanni, mia mamma Silvana e mia sorella Laura. Da loro, ho imparato che ogni uomo ha bisogno di una casa, un luogo che manifesti la forza rigenerativa dell’amore gratuito. La mia vita fino ad oggi sarebbe incomprensibile senza guardare a questa prima scintilla scaturita tra le mura di casa.
C’è poi la professoressa Benedetta, che alla fine delle superiori mi ha aiutato a recuperare il debito in matematica e mi ha fatto conoscere il movimento. La ringrazio per non essersi limitata alle sole ripetizioni.
Durante gli anni di architettura a Ferrara, grazie ad Angelo e a Giovanni ho scoperto cosa fosse l’amicizia. Ho sempre pensato che se fossero entrati in seminario con me, avremmo potuto convertire un’intera nazione! Dio aveva altri progetti. Oggi, che mi trovo a Washington a fare studi su matrimonio e famiglia, guardo a loro, alle loro mogli e ai loro figli, come espressioni luminose di che cosa sia una famiglia.
Ringrazio Carlo e Pia che hanno sempre aperto la porta di casa quando avevo bisogno. Da loro ho imparato l’amore e la dedizione alla Chiesa, al movimento e ad ogni uomo.
Enrico, Davide e Fabrizio mi hanno insegnato che la carità è la più nobile forma di imprenditoria.
C’è poi don Marco, in missione a Bologna. Grazie a lui, alla sua amicizia paterna, l’idea del sacerdozio è divenuta carne, la possibilità reale di una vita piena e felice spesa al servizio di Cristo e degli uomini. Degli anni di seminario, il ringraziamento più vivo va a Paolo, Francesco, Giovanni e Michael. Il loro insegnamento, la loro grande pazienza e la loro paternità hanno guidato e sostenuto ogni mio passo. Più di ogni altra cosa, però, è stato guardare il loro personale cammino di santità vissuto nella comunione con noi che, giorno dopo giorno, ha acceso in me il desiderio di donare la mia vita a Cristo.
Infine, ringrazio la mia attuale casa di Washing­ton, Antonio, Roberto, i due José e Stefano. Oggi sono loro i custodi di quella prima scintilla scaturita in famiglia. Più passa il tempo e più, dietro tutti questi volti, i “miei” volti santi, si fa trasparente il grande Volto. «Diventano», come canta Chieffo, «Qualcuno, diventano Te, Padre grande e buono, che per amore hai cominciato il gioco».

 

Tommaso Badiani, 33 anni originario di Prato, vive nella casa di Washington, DC (Usa). Frequenta l’istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia.

Nella foto, l’abbraccio con il cardinale De Donatis durante la celebrazione dell’ordinazione sacerdotale, 21 giugno 2021.

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