Carissimi fratelli,
anche se sono già passati alcuni mesi dalla Settimana Santa che ho condiviso con i detenuti del Reclusorio Sur, un carcere di Città del Messico, voglio raccontarvi la grande esperienza che ho vissuto.
In primo luogo, voglio testimoniare la dedizione dei vari volontari, coordinati da una delle nostre parrocchiane. Hanno offerto semplicemente la loro compagnia, preparando i carcerati al sacramento della confessione e ascoltando le loro storie personali. Sono rimasto molto colpito dal grande numero di persone che si sono confessate, sperimentando per la prima volta la vicinanza di Dio alla loro vita. Tutto il peso del male che avevano fatto aveva bisogno di essere accolto e perdonato. Dovevano riscoprire che la loro vita – dopo 5, 10, 35 anni di reclusione – aveva ancora un senso, un valore. Mi sono reso pienamente conto di essere lo strumento del perdono divino quando ho visto tanti occhi diventare lucidi. Hanno percepito che un desiderio profondo non può essere cancellato, che anche in carcere è possibile essere amati, non per quello che faccio o che ho fatto ma per quello che sono. Quando si comincia a comprendere questa nuova dignità della vita, nessuno la può portare via. Nei giorni successivi, infatti, molti di loro sono venuti a salutarci. Forse questo gesto non era gratuito per tutti, forse qualcuno si aspettava qualcosa in cambio: ma di certo era il segno di una novità che è entrata nella loro vita.
Il Dormitorio 6 è il luogo dove dormono alcuni carcerati “speciali”. Oscar, ad esempio, non ha nemmeno un letto. È in carcere perché si è addormentato alla guida della sua auto. Non ha fatto del male a nessuno, solo qualche danno materiale allo Stato. Ma non avendo $200.000,00 pesos per pagare i danni (è, letteralmente, una fortuna, considerando che il salario minimo in Messico è di circa $70,00), è stato arrestato. Mentre era recluso, tutta la sua famiglia è morta in un incidente d’auto. Non ha più nessuno. Guadagna qualche peso cantando durante i giorni di visita. Ma quel poco che raccatta, di solito, non è sufficiente per sopravvivere, soprattutto perché ogni giorno deve pagare al secondino la lista, una specie di tassa illegale. Ha festeggiato il suo compleanno durante la Settimana Santa. È un giovane dal carattere forte, abituato alla durezza della vita. Però quel giorno si è confessato e ha pianto tutto quello che non aveva pianto durante gli ormai quattro anni di prigionia.
Alla fine, ho chiesto a Cecilia, responsabile dei volontari, alcuni cioccolatini che ho dato a Oscar come regalo di compleanno. Quando, finita la Santa Messa, gli abbiamo cantato Las mañanitas, la versione messicana di Tanti auguri a te, ha sorriso: da molto tempo non vedevo un sorriso come quello, dominato dalla scoperta che era possibile, anche in quel luogo, sentirsi amati. Quel giorno Oscar ha lavorato poco e, di conseguenza, non ha guadagnato a sufficienza per pagare i 10 pesos della lista. Sapeva già che, durante la notte, il custode gli avrebbe dato una chinga, lo avrebbe picchiato. Nonostante questo, mi ha regalato un dolce che aveva comprato chissà come e con che soldi. “E la lista?” gli ho chiesto. “Padre, davvero, non preoccuparti. È stato il compleanno più felice che abbia mai avuto e questa gioia nessuno me la può togliere”. In quel momento, mi sono reso conto che il suo desiderio di essere amato non era diverso dal mio, che Gesù si era fatto presente per entrambi.
È stato straordinario poter celebrare la messa del Giovedì Santo nel dormitorio dei carcerati infermi imitando, per la prima volta, il gesto di Gesù. Contemplare i piedi maltrattati e sporchi di quegli uomini, arrivare a baciarli, mi ha fatto pensare a quanto in basso sia caduto Gesù per potermi toccare. La certezza dell’umiltà di Gesù mi ha dato la libertà e la gioia di stare davanti a quelle persone. Il giorno successivo, ho celebrato la Via Crucis nel dormitorio dei tossicodipendenti: ancora una volta, i loro volti segnati dalla solitudine, dal dolore, da una vita dedicata a una felicità di breve durata, mi ha fatto rivivere l’esperienza di Gesù che viene, dà la vita e soffre per ciascuno di loro, per ognuno di noi.
David Crespo, sacerdote dal giugno 2016, è in missione a Città del Messico. In alto, alcuni parrocchiani di Santa Maria Inmaculada.