Don Lorenzo, oggi in missione a Santiago del Cile, racconto la storia della sua vocazione sacerdotale.

Dunque, vediamo… Il titolo potrebbe essere «Dai Castelli romani alle Ande». Sarebbe perfetto, in fondo si tratta di raccontare la storia di un romano partito missionario per il Cile.
E lo svolgimento?
Potrei partire da quando avevo nove anni e, durante una vacanza in montagna in cui mi ero beccato una tonsillite, mio cugino mi chiese cosa volessi fare da grande, e io gli risposi: «Il prete». Tra l’altro, anche mio cugino era prete…
Però sarebbe troppo lunga. E poi darebbe l’idea del santarello devoto tipo: “sin da piccolo dimostrava una spiccata propensione per la vita ascetica”. Per carità!
Allora potrei partire raccontando gli anni turbolenti dell’adolescenza, quando facevo disperare i miei poveri genitori… No, anche questo suonerebbe esagerato.

«Se qualcuno di voi…»
Sapevo che prima o poi avrei dovuto scrivere questo articolo. Però non immaginavo che sarebbe stato così difficile! La verità è che ho già scritto su Fraternità e Missione la storia della mia vocazione! Quel testo sì che mi era venuto bene! (I lettori più distratti potranno rileggerlo su F&M di maggio 2011). Raccontavo della Giornata Mondiale della Gioventù a Roma durante il grande Giubileo del Duemila, quando papa Giovanni Paolo II, nella spianata di Tor Vergata, pronunciò quelle parole che mi cambiarono la vita: «Se qualcuno di voi avverte in sé la chiamata del Signore a donarsi totalmente a Lui per amarlo con cuore indiviso, non si lasci frenare dal dubbio o dalla paura. Dica con coraggio il proprio “sì” senza riserve, fidandosi di Lui che è fedele in ogni sua promessa». Quelle frasi vinsero in me la paura per un pensiero che tentavo di scacciare da un po’ di tempo. Poi concluse con quelle che furono le parole decisive: «Non ha Egli forse assicurato, a chi ha lasciato tutto per Lui, il centuplo quaggiù e la vita eterna?». In mezzo a due milioni di persone, mi sembrò di trovarmi faccia a faccia con il Papa…
Ma non posso cavarmela con un semplice copia e incolla.
Ci sono! Racconto del primo incontro con don Sergio. Potrei parlare di quella domanda ripetuta quasi per gioco eppure così fondamentale: «Sei felice? Perché?». Potrei raccontare di come con lui ho imparato a gustare l’amicizia con gli amici dell’università, della passione per il Movimento, dell’esperienza del Centro giovanile, lo studio assieme, le cene… Di quando per la prima volta gli parlai di Luisa e capii che Cristo c’entrava veramente con tutta la vita. Della contentezza che condividevo con mia sorella Anna Maria quando tornavamo a casa in auto dopo una serata al Centro, delle birre tra uomini, del pensiero ricorrente: «Io desidero una vita così». Fu a lui che affidai il mio segreto, tornato da Tor Vergata…
Credo che le 5mila battute assegnatemi non basterebbero.

Strade parallele
Allora parlo dei miei amici! Le corse in motorino con Martino e Alessandro ai tempi del liceo, i film del mercoledì sera con Mattia, Andrea e Michele. L’amicizia con Marina e Cinetta e la scoperta di Gs. E poi la mitica band di “Venticello e i magnaccioni” quando ci siamo accorti che, mettendo in piedi una band, costruivamo la nostra amicizia. Scrivo di come la passione per Cristo ci ha portato a vivere sparsi un po’ per tutto il mondo: Roma, Chicago, Santiago…
No, troppo romanzesco, troppo difficile.
Forse potrei cominciare parlando dei miei genitori. Del loro incontro con il movimento, della loro discrezione nel vedere e accompagnare me e Anna Maria prendere la nostra strada, una strada che forse non avrebbero immaginato così. Di quando mia sorella disse loro che sarebbe entrata nella Trappa di Vitorchiano, della loro disponibilità silenziosa e commossa. Della loro fatica i primi anni dalla sua partenza mentre io pensavo tra me e me: «…e non finisce qui». Sì, potrei anche raccontare di quando, qualche anno dopo, dissi loro a bruciapelo che entravo in seminario e del nuovo senso che il dono dei loro unici due figli a Dio diede al loro matrimonio. E infine potrei scrivere di mamma, che offrì la sua malattia e la sua morte per la perseveranza nella vocazione mia e di Anna Maria.
Credo che dovrò arrendermi: raccontare la storia di una vocazione è quasi impossibile. Mille circostanze, mille volti, e una lotta che si ingaggia con il Signore, fatta di fascino e di resistenza, di amore e di peccato. Ovunque risuona l’eco della voce di Dio. E nei fatti che qui ho potuto solo accennare, quella voce ha gridato forte per me.
lorenzo locatelli

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