Incontrare i ragazzi non è difficile, almeno qua, a Fuenlabrada: non hanno molti pregiudizi sui preti e sulla Chiesa. E se li hanno, raramente sono determinanti. Ciò che invece costituisce un ostacolo grave per la loro vita di fede è la mia tiepidezza, la mancanza di iniziativa. Non posso aspettare che vengano da me e decidano di iniziare un cammino, senza che venga loro proposto qualcosa.
La maggior parte dei ragazzi che incontriamo hanno tantissime domande sulla vita e non sanno a chi porle. Sono domande che rispecchiano la loro sete di Dio: normalmente, vengono formulate in modo confuso, senza attendere in risposta una qualche ipotesi. Spesso riguardano il significato del dolore, la possibilità del perdono, la vocazione, il desiderio di capire quale sia il loro posto nel mondo, una domanda che li accompagna addirittura a partire dai 13 anni.
Cercano, anche inconsapevolmente, adulti che li possano ascoltare e guidare: hanno bisogno di padri. Incontrando le loro famiglie mi trovo spesso di fronte a figure paterne inconsistenti e a madri onnipresenti e un po’ apprensive. Posso citare l’esempio di una di loro che non ha permesso alla figlia di partecipare alla vacanza-studio perché la data coincideva con la Festa della mamma: “Ho il diritto di passare quel giorno con mia figlia e con il mio cane” ripeteva la signora. Raramente ci si domanda che cosa sia meglio per i figli, che cosa li aiuti a crescere, ad essere più uomini. Spesso ci si nasconde dietro presunti diritti dei genitori, come se i figli fossero una proprietà.
Invece i giovani cercano adulti che sappiano comunicare un’ipotesi di significato grande sulla vita. In questi ultimi tre anni, abbiamo constatato che il punto di partenza nel rapporto con i ragazzi è affettivo: hanno bisogno di sapere che li amiamo, li preferiamo, che desideriamo stare con loro. Questo rapporto li rende permeabili ai gesti, ai concetti, ai contenuti. Vediamo sorgere in loro una risposta appassionata alle proposte precise che avanziamo. A scuola, ad esempio, durante l’ora di Religione, sono rimasto sorpreso dall’attenzione che hanno prestato alle spiegazioni più “dottrinali”: quali sono i sacramenti, chi li amministra, cosa significano… E non posso tacere lo spettacolo dei ragazzi di Gioventù studentesca della parrocchia, quando con serietà esemplare leggono i testi della Scuola di comunità, appuntano domande e osservazioni, individuano i nessi con la propria vita.
Recentemente alcuni di loro mi hanno chiesto di vivere insieme momenti di silenzio e meditazione. Altri hanno iniziato a venire a messa oppure passano in chiesa per recitare l’Angelus prima di andare a scuola.
Capisco sempre di più che un cammino di fede personale ha bisogno della certezza di un’amicizia, di un ambito comunitario. Gli esempi più belli nascono in modo spontaneo: un piccolo gruppo di ragazzi di Fuenlabrada che ha iniziato l’università ha espresso il desiderio di continuare a vedersi con noi e altri amici. Una volta al mese organizzano una cena durante la quale si parla di tutto: della vita, dell’amore, dell’amicizia, dello studio. Altri ragazzi più giovani hanno iniziato a cercare amici che vivono in altre zone della Spagna, per proseguire un rapporto nato durante le vacanze di Gs. Tra qualche giorno, alcuni giovani amici di 17 anni verranno a trovarci da Barcellona, facendo un viaggio di 700 km! Quando vedo questi ragazzi, sono grato a Dio per il compito a cui mi chiama.
(Stefano Motta è viceparroco di San Juan Bautista, a Fuenlabrada, e cappellano del Colegio Internacional Kolbe, a Villanueva de la Cañada. In alto, una via della capitale spagnola – Foto Joan Brebo.)