Il mio primo ricordo di Marco Barbetta risale a una domenica di aprile o maggio del 1967. Forse l’avevo incontrato anche prima, ma custodisco una memoria nitida di quella mattina, in via sant’Antonio 5 a Milano, la sede diocesana dell’Azione Cattolica. Nel grande salone dedicato a Pio XII, dove ancora oggi si tengono molti incontri, davanti a una platea gremitissima di giovani piovuti da tutta la Diocesi, Barbetta leggeva una relazione. Era il centenario della GIAC, dei Giovani di Azione Cattolica. Si era svolta un’inchiesta in tutta la Diocesi e il presidente ne leggeva i risultati. Non so per quale ragione fossi lì. Forse già mi era giunta la notizia che nel giugno successivo avrei dovuto lasciare GS per occuparmi dei giovani di AC. Mi ero seduto nell’ultima fila. Mi impressionò la conoscenza che Barbetta aveva già allora, giovane presidente che stava lasciando il suo incarico, assistente di Chimica dell’Università Statale, di tutta quanta la Diocesi.
Durante l’estate, assieme ad alcune centinaia di giovani, andammo a Castel Gandolfo, in udienza da Paolo VI. L’unica foto che ho con quel papa mi ritrae assieme a Marco. Passammo una settimana assieme, a Colle Valenza, con quel numeroso gruppo di giovani. Lì venni a sapere che nell’ottobre di quell’anno non sarebbero entrati in seminario soltanto Angelo Scola, Luigi Negri, Mario Peretti e Marco Martini, quattro figure significative di GS, ma anche Marco Barbetta.
Non era né ottimista né pessimista, piuttosto dotato di uno sguardo scanzonato sulla realtà, illuminato dalla fede, che lo faceva talvolta sperare contro ogni speranza.
Ordinato nel 1972, continuò a insegnare nei licei della Diocesi, fino a essere nominato parroco nella popolosa parrocchia di San Pio X, nel cuore della Città Universitaria – incarico che mantenne fino a pochi anni fa. Il campo da calcio dell’oratorio parrocchiale lo vedeva camminare avanti e indietro, sempre a fianco di qualcuno da ascoltare, incoraggiare, correggere.
Queste brevi note ci parlano di un laico che ebbe un posto importante nella vita del mondo giovanile cattolico degli anni Sessanta. Succeduto ad Alberto Antoniazzi alla presidenza diocesana della GIAC, sotto la guida di don Luigi Olgiati, aprì l’AC giovanile a un incontro efficace, anche se allora molto difficile, con GS. Chi gli è stato vicino conobbe in quegli anni la sua arte di grande e discreto tessitore, figlio fedele della Chiesa diocesana e amico delle comunità che stavano maturando attorno a don Giussani. Divenuto prete, continuò in questa direzione. Fu un grande educatore di giovani verso il sacerdozio, con i quali mantenne un rapporto amicale di serenità e sostegno, senza mai essere invadente. Nell’anno 1999 lo chiamai ad essere uno dei padri spirituali del seminario della Fraternità san Carlo. Con grande umiltà veniva da Milano a Roma ogni mese, senza chiedere nessuna speciale attenzione, donando sempre il frutto della sua esperienza e della sua conoscenza profonda dell’animo giovanile. Non era né ottimista né pessimista, piuttosto dotato di uno sguardo scanzonato sulla realtà, illuminato dalla fede, che lo faceva talvolta sperare contro ogni speranza. Centinaia e centinaia di giovani devono a lui la grazia di essere approdati alla maturità di un cammino iniziato con il suo aiuto, in piccoli e grandi gruppi della Chiesa ambrosiana.