Cari fratelli e sorelle,
“considerate la vostra chiamata, fratelli” (1 Cor 1,26), dice la Prima Lettera ai Corinzi. Queste parole dell’apostolo Paolo sono particolarmente importanti per i nostri ordinandi in questo giorno di festa.
Certamente, cari candidati all’ordinazione, nei giorni passati di preparazione avrete riflettuto più volte su di esse, ognuno a modo suo.
Il mistero della vocazione è un mistero molto personale. Ognuno di voi l’ha scoperto in modi diversi: alcuni molto presto, altri molto tardi. Alcuni immediatamente, con chiarezza indubitabile, mentre altri attraverso un lungo processo, con tante incertezze. Nella riflessione sulla vostra vocazione, avete incontrato persone molto diverse tra loro: parenti, amici, sacerdoti, insegnanti, persone delle vostre parrocchie e comunità. Anche in questo caso, l’immagine del sacerdozio che essi vi hanno trasmesso sarà stata un po’ diversa per ognuno di voi.
Al di là dei diversi percorsi concreti che ciascuno di voi ha seguito c’è, però, un percorso diretto: un percorso diretto che ha condotto ognuno di voi al centro del mistero della propria vocazione. Questo è il cammino verso Cristo. È il cammino verso la croce, verso il Suo cuore trafitto. Lì, nel cuore trafitto del Signore, raggiungiamo l’origine dell’ordinazione sacerdotale che oggi ricevete. Lì, nel cuore del Signore, entriamo in contatto con la forma primordiale del sacerdozio e con la fonte primordiale dell’attività sacerdotale. Già il profeta Geremia aveva promesso al popolo d’Israele dei “pastori secondo il Suo cuore”, secondo il cuore di Dio (cfr. Ger 3,15).
Nella sua Lettera Apostolica Pastores dabo vobis, san Giovanni Paolo II ci ricorda proprio questo fatto e allo stesso tempo indica il compimento di questa promessa in Gesù Cristo. «Il cuore di Dio», dice il papa, «si è rivelato a noi pienamente nel cuore di Cristo buon pastore. E il cuore di Cristo continua oggi ad avere compassione delle folle e a donare loro il pane della verità e il pane dell’amore e della vita, e chiede di palpitare in altri cuori — quelli dei sacerdoti —» (Pastores dabo vobis, 82). Affinché questo sia possibile, cari ordinandi, Egli si unisce a voi oggi per sempre attraverso il sacramento dell’Ordine. In quest’ora inizia per voi una comunione di cuore unica con il Signore.
Oggi la vostra ordinazione ha inizio nell’opera sacerdotale del Signore stesso. Questo fatto ci porta all’evento sul Golgota. Lì, il Signore è sacerdote e offerta allo stesso tempo. Il suo cuore, trafitto sulla croce, può farci capire che Egli ha dato l’essenziale per noi in questo impegno sacerdotale: la sua vita, cioè il suo amore, non superabile da niente e da nessuno! Il frutto della sua totale e radicale donazione è la Chiesa con i suoi sacramenti. La Chiesa ha ricevuto i sacramenti direttamente dal Signore ed essa può concederli soltanto nel suo nome.
Tra poco diremo nel Prefazio che dal cuore del Signore vennero fuori i sacramenti. Dal Suo fianco aperto, cioè dal Suo cuore, fluiscono acqua e sangue: “simbolo reale dei sette santi sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore, attingessero con gioia alla fonte perenne della salvezza”. L’acqua rappresenta il battesimo, attraverso il quale le persone vengono lavate dalla colpa del primo Adamo e incorporate nel secondo Adamo. Il sangue simboleggia, invece, la Santa Eucaristia, il più alto dei sacramenti a cui tutti gli altri sacramenti sono ordinati.
Questi due sacramenti principali sono affidati a noi sacerdoti. Una coraggiosa formulazione del Concilio Vaticano II dice che il sacerdote agisce sempre “in persona Christi capitis” e quindi nella persona del Signore crocifisso, elevato da terra. Questo speciale legame del sacerdote con Cristo, che è proprio la croce, si dispiega lungo tutta la nostra vita sacerdotale. Dice la liturgia dell’ordinazione: “Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conferma la tua vita al mistero della croce di Cristo.” Queste parole sono un richiamo permanente a sopportare e a portare la croce, fino a una con-morte e una con-resurrezione con e in Cristo. In altre parole: fino a un radicale essere-per (pro existentia) che ci fa emergere nel Mistero della Pasqua.
Non a pochi sacerdoti scelti, ma a tutto il clero viene chiesto: “Vivano il mistero pasquale di Cristo in modo da sapervi iniziare un giorno il Popolo che sarà loro affidato.” (Pastores dabo vobis, 45). Questo diventa vero nella misura in cui noi, come sacerdoti, ci facciamo portare nel mistero dell’Eucaristia. Per quanto riguarda quest’opportunità unica che la grazia di Dio ci offre ogni giorno nella Santa Messa, i Padri del Concilio ci dicono: “Così i presbiteri, unendosi con l’atto di Cristo sacerdote, si offrono ogni giorno totalmente a Dio, e nutrendosi del Corpo di Cristo partecipano dal fondo di se stessi alla carità di colui che si dà come cibo ai fedeli.” (Presbyterium ordinis, 13).
Tutto questo, cari ordinandi, ci fa capire che l’essere sacerdote precede il suo agire. Il nostro agire e il nostro lavoro si basano sul nostro essere sacerdote. A causa del grande lavoro e delle tante, e a volte esagerate, aspettative da parte dei fedeli e delle comunità, possiamo dimenticarci facilmente di questa precedenza ontologica. Inoltre corriamo il rischio di essere sovraccaricati da un attivismo che alla fine rimane sempre infruttuoso e che ci fa perdere il contatto vitale con l’actio Christi. Quando il Signore chiamò gli apostoli, li chiamò in primo luogo per “stare con lui” (cfr. Mc 3,14). La loro missione era generata dallo stare con il Signore.
Le decisioni importanti, che dovrete prendere riguardo al vostro impegno sacerdotale, dipenderanno essenzialmente dal vostro stare-con-Lui. Agli atleti che non vincono si certifica che non sono “in buona forma”. Se ottengono grandi successi, invece, si dice che sono “in forma”, “nel pieno della forma”, forse addirittura “nella forma migliore della loro vita”. Siete, cari ordinandi, “in forma” anche voi? Per noi sacerdoti questa domanda ha un significato più profondo. Non possiamo limitarci alla nostra “forma personale” con cui affrontiamo le giornate. La nostra forma dipende dalla forma che il Signore ci dà con il sacramento dell’ordine. Si tratta infatti di una “forma di vita”. Da essa dipende quanto noi possiamo essere “forma gregis”. Troviamo questa parola nella Prima Lettera di san Pietro. Nel richiamo ad essere veri pastori che si prendono cura del gregge a loro affidato, l’apostolo ammonisce: “non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (Pt 5,3), “forma gregis ex animo” dice il testo latino.
Per svolgere questo ministero è necessario, cari ordinandi, riposare nel cuore di Gesù, così come ha fatto l’apostolo Giovanni. Dice il prefazio della solennità di oggi: «perché tutti gli uomini, attirati al Cuore del Salvatore, attingessero con gioia alla fonte perenne della salvezza». Questo è particolarmente e vitalmente importante per noi sacerdoti, perché siamo spesso messi al tappeto, con le nostre sole forze. Anche le energie migliori non saranno sufficienti per fare tutto ciò che ci si aspetta da un sacerdote. Quindi, può accadere nel corso della vita che si verifichi quello che la psicologia chiama sindrome da burnout. Non funziona più niente. Non riesci nemmeno a sopportare te stesso.
Tutto però dipende da come noi accogliamo le possibilità che il Signore ci offre. Non ci vengono date solo in caso di difficoltà, ma esse sono sempre a nostra disposizione. Non facciamo del male solo a noi stessi, ma anche a coloro che ci sono affidati, quando trascuriamo il rimprovero del profeta Geremia: “Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acque viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua.” (Ger 2,13). Alcune di queste cisterne ci vengono offerte con tanta pubblicità. Alcune ci promettono un aiuto a tutti i possibili bisogni. Ma vediamo presto quanto esse sono incrinate, a quanto breve termine ci siano utili e quanto meschina sia l’apparente gloria che possiamo ricavarne. Il cuore del Salvatore è invece una fonte inesauribile di salvezza. Esso batte sempre per noi. Tutto ciò che il Signore ci dice con la Sua parola viene dal profondo del Suo cuore. Tutti i Suoi doni sono doni del cuore. Il vostro ministero sacerdotale, cari confratelli, sarà tanto più fecondo quanto più attingerà alla fonte del cuore del Signore. Potete attingerne con gioia, perché sapete che esso non vi deluderà mai.
Se, però, servirete gli altri soltanto con la vostra saggezza personale, puntando semplicemente sulla psicologia e sui consigli sociologici e limitandovi a ciò che comanda la moda, sarete da molti considerati veri e propri progressisti. In realtà, nessuno farà dei progressi veri. Non sto dicendo che non dobbiamo usare gli aiuti che il mondo ci offre, ma vi ammonisco a non perdere mai di vista la vera fonte da cui proviene la salvezza. La vera fonte ci è data nel cuore del Salvatore. Quando ci è possibile, dobbiamo attingere direttamente da questa fonte.
Il momento dell’ordinazione sacerdotale ci invita a fare ciò a cui sant’Ambrogio di Milano ci aveva già esortato: “Bevi Cristo, che è la vite; bevi Cristo, che è la pietra che ha sprizzato l’acqua; bevi Cristo, che è la fontana della vita; bevi Cristo che è il fiume la cui corrente feconda la città di Dio; bevi Cristo che è la pace; bevi Cristo, dal cui seno sgorgano fiumi d’acqua viva.” Bevete Cristo, ogni giorno e ogni ora della vostra vita, in modo che possiate diventare collaboratori del Suo amore e portarlo al popolo a cui sarete mandati.
Amen.
Omelia di S. Em. Rainer Maria card. Woelki, arcivescovo di Colonia, durante la celebrazione per le ordinazioni presbiterali nel Duomo di Colonia, 19 giugno 2020
(Nella foto, il cardinale Woelki durante l’omelia – foto @andreasstempel)