Attraverso il tentativo educativo con i ragazzi si arriva all’incontro con i genitori e le famiglie: una testimonianza da Roma.

L’esperienza del Centro giovanile e della parrocchia della Navicella, nel cuore di Roma, ci ha permesso in questi anni di incontrare molte persone, situazioni diverse.
Gli adulti che si sono coinvolti con il nostro tentativo educativo, lo hanno fatto, almeno inizialmente, per l’esperienza che vedevano crescere nei figli.
Parlando ai ragazzi, offrendo loro un’ipotesi positiva sulla vita, accompagnandone le scelte, è accaduto infatti che anche i genitori iniziassero a domandare e a partecipare. È quello che è successo a Carla, mamma di una bambina delle elementari. Guardando alla serietà con cui la figlia viene ogni sabato all’appuntamento, ascoltando il racconto di quello che Antonietta sente al catechismo, anche la mamma ha voluto ricominciare a frequentare i sacramenti e riprendere il cammino sospeso ad un certo punto della sua vita. Ogni genitore desidera qualcosa di buono per il proprio figlio, prima ancora che per sé. Si potrebbero fare tanti esempi, alcuni più impressionanti, altri più ordinari. Un episodio, tra i tanti, riassume bene questa opportunità.
Durante uno degli incontri mensili con i genitori, un papà osservava: “Considero mio figlio un deficiente. Si trascina dal divano al letto sbattendo le ciabatte… È stanco e svogliato, non si appassiona a nulla, non è costante nei suoi interessi. Poi, mi sono accorto che ogni settimana, più volte alla settimana, viene al Centro. Ci mette più di un’ora, con l’autobus… Capisco che mio figlio si muove perché è trattato in modo diverso da come lo tratto io. E capisco che devo cambiare il modo con cui lo guardo”. Sinteticamente, potremmo dire: più che dire certe cose, si tratta di farle vedere.
Nel tempo, si sono definiti tre strumenti nel lavoro con le famiglie. Un incontro mensile in cui incontrare testimoni di una possibilità di bene per sé e per la propria famiglia; un luogo di confronto con persone che offrano un orizzonte e un ideale a cui tendere.
Un secondo strumento sono i momenti quindicinali di convivenza tra famiglie – cene, lavori, vacanze – dove possano iniziare a consolidarsi rapporti e amicizie. Occasioni molto libere in cui ognuno può guardare fuori dal proprio nucleo familiare, offrire giudizi e porre domande.
Da ultimo, il gesto della caritativa. Anche con le famiglie e gli adulti occorre rivivere quello che proponiamo ai ragazzi. Gesti di carità e condivisione (le visite agli ammalati e agli anziani, la consegna del pacco alimentare alle persone bisognose, il riordino e la pulizia dei luoghi comuni) come un’azione concreta, a cui aderire liberamente e a cui essere fedeli.
La situazione pandemica ha evidenziato situazioni di solitudine e disagio, ha reso più difficile incontrarsi. In questi due anni, abbiamo cercato di sostenere il cammino intrapreso, favorendo occasioni di incontro in piccoli gruppi, contatti telefonici, per non ritrovarsi da soli davanti alle circostanze. Per tante famiglie, è stata un’occasione preziosa di riscoprire la bellezza dell’essere insieme, la possibilità di condividere la preghiera, il sentirsi parte di una comunità. Certamente, non è frequente e non è automatico. L’intraprendenza dei figli e le occasioni loro offerte sono state una opportunità che ha illuminato anche le giornate dei genitori.
È la strada da favorire: gruppi stabili di persone che camminano insieme, offrendosi una compagnia quotidiana. Tanti gruppi in cui ciascuno possa vedere quella che Maria Letizia Galeazzo, Cilla per gli amici, chiamava «piccola, cara, scalcagnata, santa comunità», il luogo dove ciascuno è richiamato e sostenuto.

 

 

Sergio Ghio è parroco di Santa Maria in Domnica, a Roma. Nella foto, una festa al Centro Giovanile (foto Stefano dal Pozzolo).

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