Veramente felici sono gli indifesi, ha detto Gesù, gli ingenui, coloro che hanno deciso di non affermarsi con la forza, di non farsi valere a tutti i costi. Veramente felici sono coloro che soffrono. Veramente beati sono quelli che vengono angariati, trattati con violenza. Coloro che compatiscono, che perdonano sempre. Coloro che hanno deciso di non vestire una maschera che assicuri loro onore e potere, coloro che hanno rifiutato l’ipocrisia. Beati sono coloro che rinunciano alla vendetta. Coloro che hanno scelto apertamente di appartenere a Cristo e sono disposti a pagare di persona la loro fedeltà. Beati sarete voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate.
Tutto ciò suona assurdo alle nostre orecchie. Ci domandiamo come possa Gesù parlare sul serio, perché voglia contraddire in modo così eccessivo il buon senso umano. Ci diciamo allora che dovremmo forse intendere le sue parole in senso figurato. Ma il suo discorso, per essere capito, deve essere seguito fino in fondo. Sono veramente beati, così spiega e promette Gesù, perché di essi è il regno dei cieli. Perché saranno consolati. Perché erediteranno la terra. Perché saranno saziati. Perché troveranno misericordia. Perché vedranno Dio. Perché saranno chiamati figli di Dio. Perché di essi è il regno dei cieli. Perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Il cielo è una realtà concreta, è la gioia dei santi che noi siamo chiamati a condividere, in cui tutto sarà nostro.
Gesù parla al futuro e parla del cielo. Ciò che rende incomprensibili le sue parole è dunque il fatto che per il nostro normale modo di pensare il cielo non esiste. Per noi, il mondo in cui siamo e questo tempo che viviamo non hanno vero futuro. Le cose che vediamo e tocchiamo, ciò che mangiamo e beviamo, i rapporti, gli amici, gli amori, i figli, le donne, gli uomini, i litigi, le lotte, i soldi, la roba, le case, i campi, il lavoro, la carriera, il prestigio, il potere… tutto questo non ha una prospettiva che lo salvi. Per questo ci affanniamo e diventiamo violenti, preferiamo vendicarci che perdonare, far soffrire che soffrire, commettere ingiustizia piuttosto che patirla, togliere agli altri ciò che è loro piuttosto che rimetterci del nostro, salvare l’onore a prezzo dell’ipocrisia, accusare gli altri piuttosto che riconoscere il nostro male. Per questo: perché la prospettiva del cielo è per noi un’idea astratta. Se il cielo non c’è, la vita ci soffoca, ci impaurisce e ci rende cattivi.
Il cielo, invece, è una realtà concreta. È la comunione tra tutti gli uomini che è già iniziata, è la gioia dei santi che noi siamo chiamati a condividere, in cui ogni distanza sarà superata, ogni ferita rimarginata, e tutto sarà nostro perché noi saremo di Dio. È questo futuro, concreto e già esistente, la profondità di ciò che viviamo ora, la prospettiva che dà senso a ciò che in sé non ne avrebbe. A ciò che, se il Paradiso non ci fosse, sarebbe assurdo e disperante.
Ma se questo Oltre esiste, il modo in cui Gesù ci propone di intendere la vera felicità su questa terra non è più un radicalismo inaccettabile. Diventa addirittura desiderabile. C’è infatti una forza che ci attrae nei volti luminosi degli ammalati che offrono la loro sofferenza, nelle donne che perdonano gli assassini dei mariti o dei figli, nei profughi che lasciano le loro case senza maledire i loro persecutori, in chi non si scoraggia per le sconfitte che subisce, in chi non ripaga con la stessa moneta l’ingratitudine e l’ingiustizia, ma continua con passione a desiderare il bene per tutti perché attende una grande ricompensa nei cieli.
Cercate le cose di lassù, scrive san Paolo ai suoi amici di Colossi, dove è Cristo assiso alla destra di Dio. Guardate al lato eterno della vita. Il presente apparirà nella sola luce che lo rende vivibile.