Dallo scorso luglio, vivo nella nostra casa di Torino, dove mi sto inserendo nella vita della comunità parrocchiale di Santa Giulia. Uno degli ambiti della mia missione è il catechismo per i bambini delle scuole elementari.
Un pomeriggio arrivo in oratorio per la lezione ai ragazzini di seconda. Ho in mente di iniziare a introdurli all’Antico Testamento. Dopo avere pregato e cantato insieme I cieli, comincio con il racconto della creazione così come è descritto nel libro della Genesi. Tutta la lezioncina è ben preparata: il testo da leggere, la traccia da seguire, le immagini da far vedere. Dopo pochi minuti, si alzano una dozzina di mani: “Avete già delle domande?” chiedo. “Allora, sentiamole!”. In quel momento si scatena la valanga: “Com’è possibile che Dio abbia creato il mondo, se c’era il Big Bang?”; “Quanti anni ha la terra?”; “Che cosa dice la Bibbia sui dinosauri e sull’uomo di Neanderthal?”. Bastano pochi secondi per far crollare il programma che mi ero fatto per la lezione. Mi metto a rispondere alle domande dei bambini e, senza che me ne renda conto, passa un’ora intera in cui dialoghiamo della creazione del mondo, di ciò che i bambini hanno imparato a scuola, di quello che la Chiesa insegna. Il momento di gioco alla fine del catechismo – di solito, molto atteso – è ormai dimenticato.
È solo uno dei tanti esempi che mi hanno fatto capire come lo stare con i bambini sia davvero una grande scuola: sono le loro domande che li aprono a Dio, non la bella struttura delle mie lezioni di catechismo.
Un altro episodio mi ha fatto compagnia in questi mesi: già negli anni precedenti, molti bambini avevano invitato al catechismo i loro compagni di classe. L’oratorio di Santa Giulia era diventato per loro un punto di riferimento stabile, soprattutto durante la pandemia: un luogo sempre aperto dove poter guardare gli altri in faccia, stare assieme per divertirsi e porre le proprie domande. Un posto, insomma, da proporre agli amici! Grazie a questa spinta missionaria di alcuni dei nostri bambini, mi sono trovato di fronte a ragazzi che non avevano mai frequentato il catechismo né ricevuto alcun sacramento. Assieme agli altri sacerdoti della casa, abbiamo deciso di accoglierli tutti. Alla fine di un pomeriggio di catechismo, uno di loro si avvicina e mi chiede: “Don Dennis, vorrei essere battezzato. Tutti i miei amici sono battezzati”. Stupito dalla sicurezza con cui questo ragazzo mi si rivolge, gli rispondo: “Che bello! Ma dobbiamo parlare con i tuoi genitori”. Qualche sera dopo, vado a cena da questa famiglia. Dopo una lunga serata di chiacchiere su tanti temi diversi, il papà mi dice: “Sai, don Dennis, nella mia vita ho avuto brutte esperienze con la Chiesa. Oggi faccio fatica a credere in un Dio buono che mi ama. Ma chi sono io per impedire a mio figlio di fare un’esperienza diversa? Sono d’accordo che sia battezzato”. La sua reazione mi lascia a bocca aperta: con immenso stupore, noto l’apertura mentale di questo padre che, nonostante tutto, ha intuito che suo figlio ha incontrato un luogo sano, una casa che lo fa crescere. Ho avuto così la grazia di battezzare quattro bambini di terza e quarta elementare. È stato davvero commovente porgere ai ragazzi le domande che di solito si rivolgono ai genitori dei neonati durante il rito d’accoglienza che precede la liturgia battesimale: “Che cosa desideri?”. “Desidero diventare cristiano”. “Perché vuoi diventare cristiano?”. “Perché credo in Cristo”. “La fede in Cristo che cosa ti dona?”. “La vita eterna”. Ecco la semplicità dei bambini che si lasciano colpire da un’amicizia che li abbraccia e che li rende addirittura veri e propri missionari.
Dennis Bensiek è diacono nella parrocchia Santa Giulia, a Torino. Nella foto, durante il catechismo.