La costruzione del regno di Dio segue una strada sempre nuova, inaspettata. E passa attraverso una compagnia, un luogo in cui sentirsi a casa.

Dopo quasi dieci anni a Puente Alto, periferia della capitale cilena, ai terremoti mi sono abituato. Ma ce ne sono altri, di terremoti, ai quali per fortuna non mi abituo: il dolore, il male, la morte…

Lo scorso novembre, in un periodo pieno di questi terremoti, mi raggiunge la notizia degli attentati a Parigi. Leggo il Vangelo della domenica successiva, che riporta le parole di Gesù a Pilato: Il mio regno non è di questo mondo. Istintivamente penso: “Effettivamente, Signore, è così: Tu sicuramente regni nell’altro mondo, ma questo si regge su criteri diversi!”. Proprio il sabato, due fatti mi aiutano a guardare più in profondità.

Il primo, al mattino. Benjamin, 15 anni, ascolta la testimonianza di un sacerdote che vive in Siria. Alla fine, mi dice che tutto quello che ha visto in quest’uomo – che per esempio aveva raccontato del perdono ai torturatori – è “illogico”. «Ma di questa illogicità così attraente io ho bisogno». Poi mi racconta di un dialogo con Joaquin, un altro ragazzo che come lui si prepara alla cresima. Benjamin: «Hai visto quanto è bella oggi la Cordigliera?». Si riferisce alle Ande che abbracciano Santiago. Joaquin: «Sì, ma bisogna riconoscere che io sono ancora più bello! Quanto sarà bella allora la Persona che ha fatto la Cordigliera e ha fatto e fa anche me?».

«Ogni volta la realtà ha superato l’immaginazione», mi diceva recentemente Joaquin descrivendo quello che sta imparando nel cammino verso la cresima. «Per questo desidero seguire ciò che vedo nei volti dei miei amici più grandi: una promessa di cui mi posso fidare».

Secondo fatto: la sera di quello stesso giorno un giovane amico mi racconta di avere incontrato per la prima volta suo padre, che aveva abbandonato la famiglia dopo avere saputo che la moglie era incinta. L’amico mi dice che la notte prima dell’incontro non era riuscito a dormire per la trepidazione e il nervosismo. E mi parla di uno stupore: aveva sorpreso qualcosa di nuovo e inaspettato nel proprio sguardo al padre, cioè alla sua storia: «Conosco bene il risentimento e l’odio, però, quando ho visto mio padre, ciò che ha prevalso è stata la gratitudine per tutto quello che ho ricevuto in questi anni». E, commosso, aggiunge: «Ciò che mi rende lieto è la certezza che lungo tutta la mia storia sono stato abbracciato e accompagnato da qualcuno molto più grande, a cui oggi posso dare un nome: Cristo. La Sua compagnia mi ha letteralmente riscattato».

Così devo rettificare: Signore, il tuo regno è di questo mondo ma segue un’altra logica, che è reale perché in questi mesi ha cambiato la faccia dei miei amici, li fa guardare a se stessi e alla realtà con un’intelligenza stupita, sta permettendo loro di affrontare con una novità inaspettata le scosse della vita.

La domenica, commentando il Vangelo, racconto di questi terremoti di bellezza che riempiono di luce il mio cuore e quello di tanti amici. Si tratta di una bellezza che fa amare la vita e per questo permette di affrontare anche tutti i terremoti dolorosi.

Un gruppo di amici che affrontano le sfide quotidiane con questo cuore e questi occhi portano una luce e danno alla luce, come fanno gli artisti, la bellezza nascosta dentro la realtà, nel cuore delle persone che incontrano. Lo sguardo alla propria storia testimoniato dal mio giovane amico genera il desiderio di offrire ad altri la «casa», cioè «la Bellezza presente nell’amicizia che ha liberato la mia persona». Come diceva uno dei 70 volti «felicemente stanchi» dopo due settimane di centro estivo con i bambini: «Sono contento di avere partecipato alla costruzione di un luogo così bello che può lasciare un segno nei bambini che lo frequentano. Questa bellezza abbraccia e permette la fatica: ho scoperto che sono fatto per costruire».

Marco Aleo è parroco della parrocchia Beato Pedro Bonilli. Nella foto, a sinistra, durante una gita con alcuni ragazzi della parrocchia.

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