Siate imitatori di Cristo

Proponiamo l’omelia del Cardinale Christoph Schönborn, durante la santa messa delle ordinazioni presbiterali e diaconali della Fraternità san Carlo a Roma, 24 giugno 2023.

Cari fratelli ordinandi, saluto anzitutto voi e le vostre care famiglie.
Saluto poi tutti voi tutti, cari sacerdoti e cari membri della Fraternità san Carlo Borromeo, in particolare don Massimo, amico da tanti anni.
Saluto infine voi tutti, cari fratelli e sorelle!
Se avete sperato che dentro la Basilica facesse meno caldo che fuori… forse tutti siamo invitati a fare un po’ di sacrificio per aiutare i nostri ordinandi con la preghiera e un po’ di sofferenza.

Spesso dico ai nostri seminaristi di Vienna: “Quando vi guardo, voi siete per me una prova dell’esistenza di Dio. Anche se forse non diventerete tutti preti, il semplice fatto che siate qui in seminario è per me un segno che Dio è all’opera nella nostra vita, che Dio esiste”.
Voi, cari candidati al diaconato e al sacerdozio, siete il segno visibile che Dio agisce nella vostra vita. Certo, non solo nella vostra vita. In ogni vita umana Dio è all’opera. In ogni vita umana! Questa convinzione deve essere sempre al cuore del vostro ministero di diaconi e di presbiteri: il Signore è già nella vita delle persone che voi incontrate. Voi, però, siete un segno della sua presenza. Oggi, col sacramento dell’Ordine, l’immagine di Cristo sarà impressa in voi con il sigillo sacramentale, che fa di voi non automaticamente dei santi, ma “sacramenti”, cioè segno e strumento della presenza di Cristo nel mondo. La vostra umanità, tutto il vostro essere, corpo, anima e spirito, diventa instrumentum coniunctum et animatum, come san Tommaso dice di Cristo ma anche di noi sacerdoti e dei suoi sacramenti (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIIa, q. 64, a.3.). Su questo voglio meditare un po’ insieme a voi.

Tra poco chiederò a voi, candidati presbiteri: «Volete essere sempre più strettamente uniti a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando voi stessi a Dio, insieme con lui, per la salvezza di tutti gli uomini?». E voi risponderete: «Sì, con l’aiuto di Dio, lo voglio».
Oggi è la festa di san Giovanni Battista e questo ci dà occasione di meditare la testimonianza di questo santo, che Gesù ha definito Il più grande tra i nati di donna (cfr. Mt 11,11). Guardare a lui è molto fruttuoso specialmente per il ministero ordinato. Non posso che limitarmi a pochi accenni.

Essere chiamati amici da Gesù e ascoltare la voce dello Sposo: è il riassunto della spiritualità cristiana e sacerdotale! La voce dello Sposo deve riempirvi di gioia.


Anzitutto, ricordiamo la testimonianza di Giovanni su Gesù: L’amico dello sposo esulta di gioia alla voce dello sposo (Gv 3,29). Voi siete chiamati ad essere amici dello Sposo e ad ascoltare la sua voce. Essere chiamati amici da Gesù e ascoltare la voce dello Sposo: è il riassunto della spiritualità cristiana e sacerdotale! La voce dello Sposo deve riempirvi di gioia.
Poi ricordo una seconda frase di Giovanni, essenziale per la spiritualità sacerdotale: Egli deve crescere e io invece diminuire (Gv 3,30). Questa è la regola ultima per tutti noi cristiani, ma anzitutto per i presbiteri, per i vescovi, per il papa.
C’è però anche una prova drammatica nella vita di Giovanni che voglio citare, un dramma che può accadere nella vita di ogni cristiano e specialmente nella vita sacerdotale. Quando Giovanni è in prigione, è afferrato da un dubbio radicale. Manda i suoi discepoli da Gesù per chiedergli: Sei tu Colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? (Mt 11,2). Fratelli e sorelle, cerchiamo di immaginare la profondità di questa prova spirituale di Giovanni, l’esperienza di angoscia legata al pensiero: “Forse mi sono sbagliato, forse ho sbagliato il mio cammino. Forse Gesù non è colui che deve venire”. Quale sofferenza! Nella prima lettura abbiamo sentito la parola del servo di Dio, nel profeta Isaia: Invano ho faticato, invano ho consumato le mie forze (Is 49,4). Quanto è frequente oggi l’esperienza del fallimento, dell’inutilità del nostro lavoro! Quando diminuiscono i fedeli, quando gli scandali offendono la gente, quando noi siamo messi nell’ultimo rango della società. In Austria, sapete, solo i politici sono meno considerati dei presbiteri! È tragico.

Rivolgiamoci ora a san Paolo, il grande Apostolo. Noi siamo radunati proprio qui, nel luogo della sua tomba. Torniamo alla vocazione che avete ricevuto di rappresentare Cristo sacramentalmente, cioè attraverso tutta la vostra umanità. Nella lettera ai Filippesi, Paolo dice qualcosa che mi ha molto colpito recentemente, tanto che ne ho fatto il centro delle giornate che ho passato con tutti i preti di Vienna quest’anno. Le parole di Paolo sono queste: Fatevi insieme miei imitatori, fratelli, e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi (Fil 3,17). Immaginate noi presbiteri, noi vescovi, dire “Fatevi insieme miei imitatori”. In greco è molto bello: synmimetai ginesté, diventate i co-imitatori miei. Perché Paolo può dire: “Imitatemi!”? Perché lui ha imitato Gesù. In Paolo, infatti, si può vedere Gesù. Poi aggiunge: Guardate a quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in me (Fil 3,17). Comportatevi secondo il modello di coloro che imitano me, che hanno me come typos. Forse troverete questo esagerato, ma io propongo tutto ciò come una bellissima definizione della sinodalità: syn-odos, camminare insieme secondo il modello dei santi, di Paolo, dell’Apostolo che ha imitato Gesù nella sua vita.
Paolo osa dire a tutti noi cristiani di diventare con lui imitatori di Cristo. Lui è infatti imitatore di Cristo, configurato con Cristo. Dice ai Filippesi: Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (Fil 2,5). Paolo usa queste parole per introdurre il famoso inno che noi tutti preghiamo nei vespri del sabato: Lui, che era di natura divina, si è vuotato – la kénosi – assumendo la nostra condizione di servo; si è umiliato fino alla morte, e alla morte di croce. La sua esaltazione è per noi la speranza perché ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre (cfr. Fil 2,5-11).
Ecco a che cosa mira la configurazione a Cristo: quella di Paolo, e la vostra, oggi sacramentalmente impressa nella vostra persona come un sigillo, per sempre.

Vi esorto, cari candidati al presbiterato e al diaconato, non solo ad avere una grande fiducia in Dio, in Gesù, ma anche a vivere un amore sempre più attento alla gente semplice, quelli che Gesù ha tanto amato, i piccoli.

Sabato scorso ho avuto la gioia di ordinare, nel Duomo di Vienna, otto presbiteri. La lettura del giorno riportava le parole di san Paolo: Caritas Christi urget nos. L’amore del Cristo ci possiede; e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti. Ed egli è morto per tutti perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro (2Cor 5,14).
Carissimi candidati al presbiterato e al diaconato, questo amore di Cristo è per tutti, e deve spingervi tutti!
Che cosa significa tutto ciò, nella nostra situazione, nel nostro mondo travagliato, tormentato? Come vivere il discernimento nell’amore?
Sabato scorso, mentre noi eravamo nel Duomo di Santo Stefano, il cuore della città, gremito in occasione delle ordinazioni sacerdotali, sull’anello stradale che circonda il centro storico, il famoso Ring, camminavano migliaia e migliaia di persone per il Gay Pride. In contemporanea alla nostra celebrazione, si stima che duecentomila persone percorressero il Ring! Che cosa significa per noi oggi che Cristo è morto per tutti e che il suo amore si estende a tutti? Che cosa significa il discernimento, in questa situazione?
Fratelli, voglio riportare un’altra parola di san Paolo, tratta dalla lettera ai Romani: Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,1-2). San Paolo invita a discernere la volontà di Dio, nella certezza che Cristo è morto per tutti. Volontà di Dio significa misericordia di Dio, alla quale noi dobbiamo conformarci. La misericordia di Dio la possiamo perciò discernere solo conformandoci sempre di più a Cristo, con una fiducia sempre più grande in lui..
Questo discernimento, nel vostro ministero sacerdotale, comporta la fiducia in Cristo. Vi lascio con una parola che mi è molto cara, che è diventata come un pilastro che sostiene la mia vita quotidiana. Si tratta di una preghiera che Gesù ha raccomandato a santa Faustina di dire spesso, ancora e ancora: «Gesù, confido in te! Jezu, ufam Tobie». La piccola Teresina, santa Teresa del Bambino Gesù, ripeteva invece: «C’est la confiance et rien que la confiance». Fiducia, fiducia in questo tempo travagliato, fiducia in Lui! Se noi siamo radicati nell’amore di Cristo, possiamo vivere questa esperienza del suo amore.

Quarant’anni fa, ho parlato davanti a una assemblea di Comunione e Liberazione, in merito al Concilio Vaticano II. Ricordo di aver detto ai presenti: per costruire ponti lunghi e larghi, aperti, abbiamo bisogno di pilastri forti, fermi. Quel pilastro è il radicamento della nostra vita in Cristo. E con queste radici in Cristo possiamo aprire le porte, spalancare le porte. L’amore di Cristo abbraccia tutti, ma, per non sbagliare, dobbiamo essere radicati in Cristo.
E con questo torno all’inizio: quando vi vedo, penso che siete una prova dell’esistenza di Dio, perché Dio è all’opera nella vostra vita. Quando vi vedo, penso non solo a Dio, ma anche ai vostri genitori. Ognuno di noi qui presenti è nato da una donna, nostra madre, e da uomo, nostro padre. Nella confusione di oggi, ci sono pilastri fermi, non solo nella fede, ma nella natura umana! Nelle situazioni, spesso così difficili, che gli uomini attraversano nelle loro relazioni, nelle situazioni della nostra vita concreta ci sono punti fermi: uomo e donna, madre e padre, il dono della vita, il fatto delle generazioni! Quale gioia vedere tanti bambini qui in basilica! E poi le cose semplici della vita, segni della bontà di un Dio che ama la vita!
Per concludere questo mio discorso poco sistematico, vi esorto, cari candidati al presbiterato e al diaconato, non solo ad avere una grande fiducia in Dio, in Gesù, ma anche a vivere un amore sempre più attento alla gente semplice, quelli che Gesù ha tanto amato, i piccoli, i nepíoi. Vi assicuro che vi daranno grande gioia, conforto, consolazione, discernimento di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato.
Finisco ricordando a questo proposito un aneddoto sull’allora cardinale Ratzinger. Intorno al 1983, una volta, ho chiesto all’usciera del palazzo del Sant’Uffizio – la conoscevano tutti, era una donna semplice, la famosa Clelia – “Clelia, dimmi, com’è il vostro nuovo Prefetto?”. Lei mi diede questa bellissima risposta: “È un vero cristiano”. Cari ordinandi, se un giorno una donna semplice come lei potesse dire di voi: “È un vero cristiano”, sarebbe il complimento più bello che potreste ricevere. Preghiamo perché lo siate!

Amen.

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