La bellezza della fede illumina tutti gli aspetti della vita: una testimonianza dall’Ungheria.

Negli anni passati, molti dei nostri universitari venivano da Tatabánya, una città di 66 mila abitanti situata a una sessantina di chilometri da Budapest. Alcuni di loro avevano conosciuto don Alessandro alla facoltà di Diritto e avevano partecipato alle sue catechesi. Si erano talmente legati al movimento che invitavano fratelli e sorelle, amici e conoscenti, a partecipare. Insieme a noi, erano venuti in Italia in occasione di diversi viaggi fatti a Roma, a Rimini, a Milano e a Bologna. Poi succede che l’università finisce, i giovani crescono, iniziano a lavorare e mettono su famiglia. Spesso rientrano nella città di origine e i contatti si fanno più sporadici. Restano a volte alcune occasioni di convivenza, la vacanza estiva di Cl in primis.
Lo scorso luglio, proprio durante la vacanza, nacque l’idea di organizzare un gruppo di giovani famiglie a Tatabánya. Don Alessandro visita regolarmente una piccola comunità di Cl a Mosonmagyaróvár, presso il confine con l’Austria e la Slovacchia. Perché non fare lo stesso a Tatabánya? Così, da settembre ci incontriamo con regolarità. Prendo un treno di pendolari da una delle stazioni periferiche di Budapest e arrivo dalla famiglia che ospita la serata. Cena insieme, conversazione a tavola, poi, messo a letto il bimbo, ci spostiamo in soggiorno. Sono sempre momenti belli e profondi: tutti hanno un grande desiderio di vivere un’amicizia basata sulla fede e di comprendere come l’esperienza che ci accomuna possa illuminare i diversi aspetti della vita familiare: il legame con il coniuge, l’educazione dei figli, il rapporto con le famiglie di origine.
Mi ha stupito il loro impeto missionario: come gesto di Avvento, una mattina hanno tenuto un ritiro in un liceo, spiegando ai ragazzi i contenuti fondamentali della fede cristiana. In diverse occasioni, hanno preso l’iniziativa in parrocchia per incontrare i giovani e fare loro una proposta di convivenza e di vita comunitaria. La notizia di una coppia di cari amici italiani in partenza per il Burundi ha suscitato in loro molte domande sul rapporto tra vocazione missionaria e vocazione familiare, sulla responsabilità verso i figli, sul celibato sacerdotale.
Dopo l’incontro, riprendo il treno, quasi sempre vuoto, verso la capitale. E ogni volta rendo grazie per la serata trascorsa, per il dono della loro amicizia e affido alla Madonna i miei amici. Mi commuove vedere i frutti della dedizione con cui don Alessandro si è occupato di questi ragazzi, che ha incontrato quando avevano solo 18 anni e, da matricole, si affacciavano al mondo universitario e alla vita, ancora sconosciuta, della capitale. Oggi sono adulti, padri e madri di famiglia, ma conservano il desiderio di rivivere nella loro città quella bellezza della fede conosciuta negli anni dell’università. A noi sacerdoti, è dato di vedere il grande miracolo di un piccolo seme che, messo nella terra del cuore di ognuno di loro, giorno dopo giorno cresce.

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