Nairobi, 31 ottobre 2014
Caro Francesco,
è solo un mese che sono qui ma già avrei tantissime cose da raccontarti.
Durante la settimana sono impegnato nelle attività della parrocchia. L’ujiacilie, la caritativa con i ragazzi disabili, si sta rivelando sempre più bella. Passo molto tempo con Andrew, un ragazzo sulla carrozzina che spicca per la sua intelligenza. Ha imparato l’inglese (uno dei pochi tra i ragazzi) guardando la televisione. L’anno scorso avevo trascorso molto tempo con lui, ed era frustrante il fatto che ogni due secondi scivolasse giù dalla sedia a rotelle (spesso si irrigidisce a tal punto da non poter adagiarsi sullo schienale). Ora, invece, ne ha una fatta su misura che lo tiene dritto. Non sapendo bene che cosa proporgli, vista la sua intelligenza ma anche la sua impossibilità a manovrare una matita per fare un disegno, ho deciso una volta di leggergli una storia. Era calamitato. La volta successiva sono ritornato con Le cronache di Narnia e siamo partiti. Gli piace molto e spesso diventa occasione per insegnargli (e per me di imparare) nuovi vocaboli. È gratificante vedere come si appassiona alla storia e come è contento quando lo incoraggio di fronte a una risposta corretta. Se una mia domanda è troppo difficile, agita la testa e suda come un matto. Purtroppo me ne sono accorto solo dopo alcuni incontri, così prima di smettere con le domande troppo difficili gli ho fatto sudare sette camicie!
Un giorno sono stato molto contento di aver lavorato con Paul. Lui è capace di disegnare, di risolvere problemi matematici e altro, però faccio fatica a capire quando è veramente contento. Una volta mi sono preparato un origami e lui era la persona giusta con cui farlo. Prima l’ho fatto io, poi lui con me. Si bloccava alle pieghe della carta più difficili. Allora ho deciso di lasciarlo libero di completare il passaggio iniziato male, perché, sacrificando mille fogli, potesse sbagliare e accorgersi che la strada imboccata non funzionava. A quel punto potevo mostrargli quella corretta. Che soddisfazione vedere i passi che ha fatto! La manualità è un grande strumento educativo. Alla fine abbiamo completato il cigno, lo abbiamo messo in una vaschetta e regalato alle signore della cucina. La volta successiva era contento di vedermi. E lo ero anch’io.
Poi c’è il «Meeting Point», dove assistiamo i malati di AIDS. Lì tutti parlano in kiswahili, per cui spesso mi son sentito un pesce fuor d’acqua. Sebbene la loro accoglienza sia stata ottima fin dall’inizio, incomincio solo adesso a non sentirmi uno straniero con loro. Hanno tutti delle storie incredibili: sono dei santi. C’è una signora anziana che vende la legna: si carica sulla schiena pesanti gerle che porta in giro da mattina a sera. Dovresti vedere che faccia che ha: bella, felice. È stata letteralmente salvata. Il Meeting Point diventa sempre più africano: loro stessi iniziano a prendersi cura degli associati e di altri malati che incontrano e invitano.
Le storie sarebbero molte, forse troppe per riportarle tutte, ma ti assicuro che ogni giorno assisto a veri e propri miracoli.
Sono andato ad una Jumuia, una messa della comunità del quartiere, dove Dora, mamma di due bambini e sposata civilmente, si faceva battezzare per poi sposarsi due giorni dopo in chiesa. Che faccia che aveva! Felice, seria, sobria. Commovente: penso che i racconti riportati da Luca negli Atti siano adeguati per esprimere quella scena. Ho capito e apprezzato quella sera la liturgia del battesimo. Il tutto condito dai canti africani che riempiono letteralmente il cuore.
Domani alle sei accompagno don Gabriele Foti al pellegrinaggio a Komarok con gli universitari.
Tutte queste giornate sono incorniciate dal silenzio al mattino e dall’adorazione eucaristica alla sera. Vivo amando Gesù e sono molto contento.
Un abbraccio,
Emanuele