La storia della vocazione di don Andrea Aversa oggi missionario a Corridonia (MC)

Il Signore mi ha preso, mi ha chiamato mentre “badavo alle mie cose” (cfr. Am 7,14-15). Perché mi abbia scelto lo sa Lui, non è per meriti o talenti miei, ma solo per la sua infinita Misericordia! Riconoscere la mia vocazione, accettarla e seguirla, è stata una grande grazia, ottenutami dalla Madonna e resa possibile da tutto il cammino della mia vita e dai compagni di strada che il Signore mi ha messo accanto: a cominciare dai miei genitori, dalla mia famiglia, dai fraterni amici degli “Scouts d’Europa”, della “Comunità Scout di Soviore” e del movimento di “Comunione e Liberazione”. Ogni singolo passo è stato importante, ogni incontro: tutto è concorso al bene, di tutto rendo grazie a Dio.
Guardando ora al cammino della mia vita, prevale in me lo stupore e la gioia per quanto avvenuto: davvero il Signore ha fatto e fa per me meraviglie!
Perché ho detto il mio “sì”?
Semplicemente perché Cristo è risorto e ne ho fatto esperienza nella Chiesa; perché c’è l’Eucaristia: è tutto vero.
Laureato in Scienze dell’Educazione, lavoravo in una casa-famiglia per minori e assolutamente non avevo il minimo pensiero circa il sacerdozio, anzi. Storie ed innamoramenti con ragazze ce ne erano e il desiderio che avevo era quello di metter su famiglia in modo solido e di essere un buon padre.
Incominciò poi a crescere in me anche il desiderio di avere una fede matura e quindi cercavo come poterla approfondire.
Per la Pasqua del 2000, andai a trovare un amico che viveva in monastero. Feci un’esperienza straordinaria del Triduo, vissuto nel silenzio, nella bellezza della liturgia, nella gioia, e incominciai a rendermi conto che cosa fosse veramente la Pasqua. Quell’estate, partecipai alla Giornata Mondiale della Gioventù a Tor Vergata. Le parole e la testimonianza di Giovanni Paolo II mi “infiammarono”. In quel tempo lavoravo tantissimo, periodi intensi, tante attività ed impegni e mi sorgeva ogni tanto la domanda: «Signore, cosa vuoi che io faccia?».
Lavorando nel sociale ero attratto ed interessato agli aspetti della solidarietà. Feci il servizio civile presso la Caritas e riscoprii la figura di madre Teresa di Calcutta, che mi conquistò e mi commosse. Piano piano, crebbe l’idea della missione ma non pensavo a me come sacerdote. Figuriamoci, bisognava studiare tanto!
Ciò che mi attraeva era il desiderio di verità, una vita vera, non mediocre, e cercavo chi vivesse, chi facesse le cose sul serio e non tanto per farle; qualcuno che avesse le ragioni di ciò che faceva e viveva.
Ero super attivo tra lavoro e mille altri impegni, c’erano periodi che arrivavo a casa, lasciavo una valigia e ripartivo subito con un’altra già preparata da mia madre, ero una trottola. Col tempo, ho capito che l’attivismo era per me come una droga, un anestetico per non affrontare e dimenticare le domande più profonde e vere del mio cuore.
Nel gennaio 2004, alcuni amici mi invitarono alla presentazione del libro Perché la Chiesa di don Giussani. Quell’incontro fu per me sconvolgente ed iniziai a partecipare alla scuola di comunità. Trovai delle persone a me coetanee con cui confrontarmi, e che si aiutavano e sostenevano veramente nel cammino di conversione nella quotidianità, testimoniandomi la bellezza e la gioia di essere cristiani in ogni circostanza della vita.
Durante un campo scout nel Triduo pasquale del 2005, il sacerdote don Guido Gallese, ora vescovo di Alessandria, disse: «Non è vero che non ci sono vocazioni. Il Signore chiama, ma chi è chiamato non risponde». Rimasi colpito. Gli parlai e mi consigliò di trovarmi una guida spirituale, vicino casa, che potesse seguirmi. Feci il mese di maggio con questa intenzione e poi andai da don Mario Follega: «Ho questo tarlo circa il sacerdozio che ogni tanto riemerge. Puoi aiutarmi a vedere se è la mia strada?». Iniziai così il mio cammino di verifica della vocazione che mi ha portato ad entrare nel settembre 2008 nella Fraternità san Carlo.
foto di Martin Thomas

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