È giugno: cinquanta bambini della parrocchia di sant’Antonio a Frosinone si sono accostati per la prima volta al sacramento della confessione e all’eucarestia. Mi accorgo che è un dono grande per me sacerdote poter rinnovare e approfondire, anche attraverso la preparazione dei bimbi, la mia gratitudine per il dono della riconciliazione, perché l’essere prete non mi preserva dalla distrazione o dal rischio del “meccanicismo”.
Ricordo che qualche anno fa, intervistato da Marina Corradi (Innanzitutto uomini, Ed. San Paolo), affermavo la mia certezza nella misericordia infinita del Signore che sempre mi perdona e abbraccia la mia vita, ma anche la mia distrazione e il mio peccato quando affermo me stesso invece che Cristo. Così come sento un dolore per il mio limite, così anche ascoltare il male degli altri non mi è mai indifferente ed è per questo che ho sempre bisogno, quando esco dal confessionale, di inginocchiarmi per affidare tutto nelle mani di Cristo. Prego, per me e per gli altri, che la confessione sia sempre l’esperienza del perdono e della misericordia che vanno oltre il limite umano del peccato.
Mi sono infatti reso conto che una conoscenza intellettualistica del Sacramento, priva di un’esperienza reale, è la causa di lunghi periodi di distanza: «Sono stata per anni senza confessarmi perché non sapevo cosa dire, nel senso che mi sembrava stupido fare l’elenco di peccatucci da bambina, sempre gli stessi». Una delle obiezioni più ricorrenti, vissuta come una sconfitta personale, è proprio: «Perché ricado sempre negli stessi errori?». Senza riconoscere che, più il mio io è sconfitto, più vince Cristo. È la misura umana che non arriva al perdono totale, che non riesce ad abbracciare dieci, cento, mille volte lo stesso peccato, la stessa debolezza. Non Cristo! Cristo perdona sempre!
E ancora: «Quando mi sono imbattuta nel versetto: Come è lontano l’Oriente dall’Occidente, Egli allontana da noi le nostre colpe (Sal 103,12) ho iniziato a fare l’elenco delle volte che stavo vicino a Gesù invece di quelle in cui mi allontanavo da lui». La confessione diventa allora la presa di coscienza di una Bellezza tradita nei momenti di lontananza, più che l’arruffarsi nel proprio malessere. Con Gesù questa giornata può essere meravigliosa: è un peccato perdersela! Un peccato la cui coscienza non può che arrivare fino al pianto, come per la peccatrice che lava i piedi di Gesù con le sue lacrime (Lc 7, 36-50). Il dolore per la dimenticanza, allora, l’immensità vertiginosa della mancanza umana, diventa viatico a Cristo che ci riabbraccia e accoglie la nostra piccolezza nella sua grande misericordia: Non vivo più io ma Cristo vive in me (Gal 2,20).
Un’altra testimonianza: «Gesù sa chi sono e di cosa ho bisogno più di me, mi ama più di me. Quando in confessione sto davanti al sacerdote, mi rendo conto che il Mistero che si fa carne è imponderabile ma vicino». Gesù resta Mistero ma ne facciamo un’esperienza concreta che ci cambia; negare il cambiamento in questo incontro sarebbe irrazionale.
«Il perdono libera l’anima e cancella la paura», dice Nelson Mandela all’inizio del film Invictus di Clint Eastwood. Questo è forse inconcepibile per la misura umana, ma occorre arrendersi all’evidenza: Cristo va oltre la nostra misura e nonostante le nostre nefandezze, anzi, in virtù di quelle, ci abbraccia. Perché impedirglielo?