Di quella telefonata Luis ricorda ancora, «molto chiaramente», il luogo e l’ora. Erano le 18 e stava rientrando a casa in auto dal lavoro. A chiamarlo sul cellulare era don Martino De Carli, da poco tempo arrivato a Santiago del Cile per aprire una casa di missionari della Fraternità san Carlo. Voleva rivolgergli un semplice invito: «Vuoi partecipare, con un gruppo di amici, alla scuola di comunità che iniziamo martedì prossimo?».
«Ho risposto subito di sì – racconta Luis – poi ho riattaccato e per il resto del viaggio, con le lacrime agli occhi, ho pregato, pieno di gratitudine, perché un desiderio che provavo nel cuore si stava avverando».
Da quel giorno sono passati nove anni ed è accaduto «come a un bambino che impara a camminare da solo». Oggi Luis guida lui un gruppo di catechismo per adulti, in uno dei settori più poveri di Puente Alto, il quartiere di Santiago dove ha sede una parrocchia retta dalla San Carlo, usando il metodo della scuola di comunità e i testi di don Luigi Giussani.
«Qualche tempo fa, mentre l’incontro era in corso – continua Luis – entra, iroso, il marito di una signora presente. Un tipo dall’aspetto violento, venuto per riportare a casa la moglie con la forza. Si ferma un attimo. Sente che stiamo parlando della vita. Ascolta in piedi, stupito, poi si siede e inizia a fare domande. Noi rispondiamo e lui entra nella conversazione. Viene da una famiglia con il padre alcolizzato, dove non ha mai sperimentato la tenerezza. Adesso è uno dei più fedeli, dice che finalmente si sente abbracciato e vuole fare la prima comunione. In questa zona molto povera la scuola di comunità è come un piccolo faro in mezzo alla tempesta. Una luce che risponde al desiderio che tutti hanno di essere guardati in modo diverso».
Luis è stato una delle prime persone a conoscere Martino De Carli dopo il suo arrivo a Santiago. «Mi colpì subito questo sacerdote che aveva lasciato tutto e fatto migliaia di chilometri per venire in Cile a offrire un’amicizia proprio a me. Non cose da fare, ma un’amicizia in Cristo. Volevo capire cosa fosse la passione che lo muoveva. Così quando ho ricevuto l’invito alla scuola di comunità ho risposto subito sì. Era come se Dio avesse preparato un posto per me. C’era la tavola apparecchiata. Io ero l’invitato speciale. Mi sono seduto a questa tavola. La mia vita ha iniziato a cambiare».
Qualche mese dopo Luis, un po’ dubbioso, ha chiesto a sua moglie se volesse partecipare alla scuola di comunità. «Lei immediatamente ha risposto di sì. Sembrava che non aspettasse altro che questo invito. Per poter venire agli incontri ha addirittura cambiato lavoro». Una decisione azzardata? Forse, ma alla fine questo passo è risultato positivo. Oggi la moglie di Luis ha cominciato a lavorare come ispettrice in un istituto scolastico, grazie a una proposta che un gruppo di amici del movimento le hanno fatto. «Lavorare con i giovani le è sempre piaciuto». Poi la sua vita ha registrato un nuovo cambio e ora lavora in una fondazione per bambini con sindrome di Down.
«Da allora – racconta ancora Luis – nel nostro rapporto è stato come ricominciare di nuovo, con un amore vero. Un amore maturo agli occhi di Dio e non ai nostri occhi, con una libertà che prima non conoscevamo. Tutto prima dipendeva da come l’altro reagiva, da come l’altro si comportava o ti trattava. Ora siamo compañeros de camino (compagni di cammino) verso una meta che è Cristo».
Anche sul lavoro molte cose sono cambiate. «Faccio parte della direzione del personale della Metro di Santiago. Ora desidero conoscere di più le persone, le loro esigenze, i problemi familiari. Così sbocciano amicizie inaspettate e il lavoro dà più soddisfazione. È più impegnativo, c’è più fatica, ma mi sento lieto».
«¿Se puede vivir asì?» (Si può vivere così?) è stato il primo libro di don Luigi Giussani letto da Luis. «Mi colpì subito il modo con cui Giussani parlava della fede, della libertà, della carità e dell’obbedienza: non un’idea astratta, ma un’esperienza presente. Per la catechesi utilizzo ancora quel libro! Ora mi domando: come è possibile che un uomo non viva così? Presto andrò in Italia e la prima cosa che farò sarà recarmi a pregare sulla tomba di don Luigi Giussani, che non ho avuto la possibilità di conoscere personalmente. Così come non ho conosciuto fisicamente Gesù. Mi sono appassionato a Lui, per il modo con cui Giussani, attraverso gli amici della San Carlo, me Lo ha fatto incontrare».
Un faro nella tempesta
Una vita nel quartiere di Puente Alto, a Santiago del Cile, finché un incontro gli ha cambiato la vita. La testimonianza di Luis Inzuza.