Giovanni Fasani, vicerettore della Casa di formazione, ordinato sacerdote il 25 giugno, racconta la sua vocazione.

«Ogni vocazione sacerdotale è un grande mistero». Era il maggio del 2009 quando leggevo queste parole. Ero a bordo di un Frecciarossa in mezzo al verde degli Appennini, tornavo da un importante incontro con i superiori della Fraternità san Carlo. Avevo appena confermato loro la mia decisione di entrare in seminario, a settembre. Don Jonah Lynch, in quegli anni vicerettore, mi aveva portato a pregare sulla tomba di Giovanni Paolo II e, prima di lasciarmi in stazione, mi aveva regalato Dono e mistero, la storia della vocazione di quel papa oggi santo. Proprio sulla parola «mistero» il mio cuore trovava finalmente riposo dopo mesi di decisioni travagliate. Sì, perché puoi anche provare a spiegare una vocazione, a raccontarla, ma in fin dei conti rimane un fatto comprensibile solo agli occhi di Dio e, nel tempo, agli occhi della nostra fede.
Durante tutta la mia giovinezza non ho mai pensato di fare il prete. Vedevo la mia famiglia e i miei amici vivere felici e pensavo che la mia esistenza sarebbe stata simile alla loro. Ricordo solo che, un giorno, domandai a mia mamma come facesse una persona a sapere di dover fare il prete. Lei mi rispose che, se uno è chiamato da Dio, ad un certo punto lo capisce.
Il mio primo incontro con una comunità cristiana fuori da casa mia è stato alle scuole medie. I professori invitavano gli studenti ad alcuni incontri settimanali fatti di giochi, preghiere e canti. Il momento più atteso era la vacanza estiva da cui tornavo ogni anno come ubriaco di bellezza. Anche se ero piccolo, intuivo che solo la comunione nel nome di Gesù poteva realmente trasformare e compiere la mia vita. Questa esperienza di Chiesa continuò e maturò poi durante il liceo e l’università, ma l’ipotesi del sacerdozio rimaneva ancora lontana. Poi, al primo anno di università, il coro degli universitari di Cl di cui facevo parte andò a Roma per cantare alle ordinazioni della Fraternità san Carlo. Io conoscevo già alcuni dei suoi preti, ma non avevo mai assistito a quella bellissima liturgia. Rimasi molto colpito da uomini così giovani che spendevano la loro vita perché Dio arrivasse a tutti attraverso le loro mani, la loro voce e la loro amicizia. Ciò che mi folgorò fu lo splendore dei loro volti e la gioia di fronte ad una responsabilità così grande. Sacrificavano tutto per possedere tutto.
Alla fine della messa, mi avvicinai alla sagrestia e li vidi mentre si abbracciavano e si facevano gli auguri. Nacque in me una gioia profonda e piena di pace. Ricordo con chiarezza che lì, per la prima volta, pensai consapevolmente che avrei voluto essere uno di loro.
Passarono otto anni da quell’intuizione al momento in cui decisi di entrare in seminario. Anni pieni di doni magnifici ma anche di dolore perché, quando Dio ti chiama, ad un certo punto chiede di mettere nelle sue mani tutto ciò che ami.
Oggi sono di nuovo su un treno Frecciarossa e, come quel giorno, il panorama scorre veloce e lucente dietro al finestrino. «Ogni vocazione sacerdotale è un grande mistero». Le parole di Giovanni Paolo II continuano ad essere vere. Ma se allora quel «mistero» era una promessa ancora da scoprire, oggi si mostra ai miei occhi in tutta la sua bellezza, attraverso la casa che mi ha donato e la strada su cui vuole vedermi correre.

 

Nella foto, Giovanni Fasani in un momento di canti allo stand della Fraternità al Meeting di Rimini 2015.
Giovanni Fasani

Leggi anche

Tutti gli articoli