Bologna, A.D. 2006. Una domenica d’aprile: preparare le lezioni di filosofia e storia per la prossima settimana, telefonare al Resto del Carlino per avvisare che la rubrica settimanale la invierò in ritardo, poi l’incontro e la serata di Gs. A proposito: c’è anche da preparare la convivenza dei ragazzi… E sempre lì, come un avvoltoio, le scadenze dei progetti per finanziare la scuola. Non avevo proprio niente da fare, quindi era naturale che mi venisse affidata anche l’organizzazione dell’Open day del Liceo! E poi l’ennesimo discorso da correggere… certo, se qualcuno intanto correggesse i miei compiti in classe non sarebbe male. Con la scusa di essere “l’uomo per tutte le stagioni”, come dice la preside, qui prima o poi mi ammazzano!
Eppure ero contento, mi spendevo per costruire qualcosa di grande. Amavo insegnare e scrivere. E poi gli incontri continui con le persone, l’educazione dei ragazzi, i rapporti che si moltiplicavano, colleghi e amici da cui imparare e con i quali condividere tutto. Era la vita che desideravo.
Quella domenica ero riuscito a ritagliarmi una mezza giornata per fare un po’ di pulizie in casa, lavare i panni e stirare. Accesi distrattamente il televisore e iniziai a fumare una sigaretta. Mandavano un film su Giovanni Paolo II, pensai che non mi piaceva per il modo in cui era realizzato. Intanto mi tornavano in mente le parole che più mi avevano provocato nell’incontro del papa con i giovani durante il grande Giubileo del 2000: «In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare». Una scena d’improvviso catturò la mia attenzione, e il mio cuore. Non ricordo precisamente la sequenza: una ragazza dichiarava, forse, il suo amore al giovane Karol e lui, con lo sguardo pieno di affetto, le rispondeva che il suo cuore lo aveva già consegnato ad un Altro, tutto ad un Altro. Non so spiegare cosa mi accadde nell’ascoltare quelle parole. Fu come se l’intera mia vita si ricapitolasse improvvisamente attorno ad esse.
Non avevo mai pensato di diventare sacerdote. Volevo sposarmi, formare una bella famiglia con almeno sette figli. Pensavo che avrei comprato un casolare in campagna circondato da alberi e animali dove avrei potuto invitare sempre gli amici. E avrei comprato anche un camper per viaggiare in tutto il mondo portandomi dietro la mia casa.
Sono nato vicino al mare, sul golfo ionico del Salento. Sin da bambino lo sciabordio delle onde, il fragore delle foglie d’ulivo mosse dal vento, il profumo degli agrumi e la luce del sole riflessa dalle bianche pietre della campagna hanno popolato il mio mondo. Terzo di quattro figli, papà ferroviere, mamma casalinga. Una vita semplice, segnata dal ritmo della natura e dalle tradizioni: d’inverno la raccolta delle olive, d’estate la produzione della salsa di pomodoro, la domenica sera a casa della nonna con tutti i parenti. E poi il profumo del pane fatto in casa, le passeggiate a cavallo, la puzza delle stalle mista all’odore tipico delle selle e del fieno seccato al sole… E la vita in parrocchia, “gli amici della stanzetta”: quante avventure! Quante feste! Ho sempre amato ballare…
In casa non si parlava di fede, di religione o della Chiesa. Non si facevano mai grandi discorsi, ma si vivevano le cose quotidiane, materiali e concrete. Spesso si litigava, ma poi si ricominciava sempre. Da mia madre imparavo che era possibile donare la vita, anche a costo di sacrifici, per amore dell’unità. Mio padre mi insegnava che l’affetto non si dimostra con le parole, ma con il lavoro e la presenza. Da lui ho ereditato una certa spinta all’intraprendenza. Sin dalle medie ho iniziato a lavorare come fruttivendolo, venditore di scarpe, poi come cameriere. Negli anni universitari come insegnante privato, promotore di un museo, operaio in una tipografia, attore in una piccola compagnia teatrale e cronista televisivo, lavoro che ho lasciato per studiare filosofia in Germania. E poi la grande avventura come presidente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica. Avvertivo in me tanti desideri. Sentivo di essere fatto per qualcosa di grande. Intanto rincorrevo mille passioni, non volevo perdermi nulla della vita.
Sono arrivato alla fine del pezzo e non ho ancora raccontato la mia vocazione! Sarà per un’altra volta. Per ora basti questo: sono entrato in seminario perché ero contento. Tanti doni, tante avventure, tanti padri e sullo sfondo una Presenza che mai mi ha abbandonato, come il profumo del mare.
Non hai mai smesso di cercarmi, mi hai aspettato. Hai aspettato che mi accorgessi di Te. Mi hai fatto una corte spietata, ma sempre discreta. Tutto mi hai dato: anche i miei capricci hai preso sul serio e solo per farmi capire che era altro ciò che veramente volevo. Tu mi conosci. Sapevi della mia testardaggine. Sapevi che se non avessi avuto tutto, non avrei ceduto, non mi sarei accorto… Mi avevi fatto per Te e io ti ho fatto aspettare tutto questo tempo. Così mi hai introdotto nella fedeltà dell’amore, più forte del tempo e della morte. Ora sono qui e sono tuo, mio Dio e mio tutto.