Sono nato e cresciuto in un paesino alla periferia nord di Colonia, in Germania. Sono da sempre molto affezionato alla mia città: un forte senso di comunione, fiumi di birra, una settimana di carnevale che diventa un’unica grande festa; infine, una squadra di calcio che fin da piccolo mi ha insegnato anche a soffrire!
La mia famiglia non frequentava spesso la Chiesa ma per me è sempre stato chiaro che i nostri genitori ci introducevano a una vita più grande: la nostra casa era sempre aperta. Dopo la prima comunione, mio fratello Dominik, tre anni più piccolo di me, iniziò fare il chierichetto e anch’io decisi di partecipare alla vita parrocchiale. Le gite, i giochi, la liturgia, gli amici: tutto mi parlava di una cosa grande, del fascino di una vita vissuta assieme, una vera esperienza di comunità. Durante gli anni del liceo, nella nostra parrocchia arrivò un nuovo sacerdote: don Tobias. Con affetto ricordo come ci preparava alla cresima e come ci guidava a trovare le ragioni della nostra amicizia vissuta a scuola o in parrocchia. Oggi sono certo che le amicizie di quel periodo e l’incontro con lui siano stati il primo piccolo bussare di Cristo alla porta del mio cuore. Alla fine del liceo, avevo tutto già chiaro: fare il professore di Storia, sposare la mia ragazza e farmi una famiglia ma soprattutto non lasciare mai la mia amata Colonia.
Nel 2009 mi iscrissi all’università: Storia e Germanistica. In questo periodo, avvenne l’incontro con i sacerdoti della Fraternità san Carlo: nella mia parrocchia arrivarono Romano, Georg, Gianluca e Lorenzo. L’incontro con loro fu significativo ma inizialmente non tanto pacifico: facevo parte di una corrente molto progressista e seguire l’insegnamento della Chiesa non era esattamente ciò che corrispondeva al mio ideale di vita. Tuttavia, i miei pregiudizi furono vinti in fretta dal modo amichevole con cui incontravano noi giovani. Innanzitutto, mi colpì che questi quattro preti – vivendo la verginità, amando Cristo e servendo la Chiesa – fossero davvero felici.
L’incontro decisivo fu quello con don Lorenzo, padre e amico: passava ore e ore a rispondere con pazienza, ma anche con veemenza, alle mie accuse ideologiche contro la Chiesa e il suo insegnamento. Pieno di gratitudine, oggi ripenso che ebbe il coraggio di invitarmi fin da subito ai gesti degli universitari di Comunione e liberazione. Di nuovo, mi colpì la bellezza di una vita comune, con un fattore in più: questi ragazzi della mia età erano felici perché vivevano una vita unita, avendo permesso a Cristo di entrare in essa e renderla tale. Oggi posso dire che fino a quel momento la mia vita era stata divisa: da una parte c’era il fascino della parrocchia, dall’altra non capivo che cosa c’entrasse con tutto il resto.
L’incontro con questi amici spalancò l’orizzonte della mia vita: dall’impossibilità di pensarmi al di fuori della città di Colonia, mi ero aperto al mondo. Avevo trovato il centro della vita: Cristo e la sua passione per l’uomo, per me.
Avendo incontrato Cristo come maestro, ma soprattutto come vero amico, iniziai a percepire che c’era un piano anche per me. Mi svegliai dalla scontatezza con cui avevo affrontato fino allora il mio percorso. La domanda sulla vocazione, su come Cristo desiderasse compiere la mia felicità, si pose con maggiore intensità. Ricordo soprattutto una frase del discorso di papa Benedetto XVI alla Giornata della Gioventù a Madrid: «Ma se un domani doveste incontrare Gesù ed Egli vi chiedesse se siete davvero felici, che cosa Gli rispondereste?». Ormai non potevo più trascurare quella domanda. Con don Lorenzo, facemmo bellissimi viaggi in Italia, li chiamavamo “pellegrinaggi culinari”. In quelle occasioni, iniziai a pensare: “Anch’io voglio vivere questa vita, introdurre gli altri alla bellezza dell’amicizia con Gesù”. Questo pensiero, accompagnato dal gusto della vita comune con gli amici del Clu, dalla vita felice che vedevo in quei preti e dalla passione per l’educazione dei ragazzi in parrocchia, mi indicava ormai la strada: dare tutta la mia vita alla storia immensa che avevo incontrato. Decisi così di andare a Roma a chiedere di entrare nel seminario della Fraternità.
Nella foto, Dennis Bensiek con alcuni bambini della parrocchia Santa Giulia, a Torino.