Aprire la casa ai giovani per dare loro un luogo di libertà, in cui poter crescere, dove poter ritornare: un articolo di Gianluca Attanasio pubblicato su «La Stampa».

Di fronte all’ennesimo episodio di violenza compiuto da giovani verso altri giovani non posso non interrogarmi. Ormai da otto anni, con l’aiuto di altri tre giovani sacerdoti, sono parroco in Vanchiglia, quartiere bellissimo. Le persone si cono­scono, si salutano per strada e cercano di aiutarsi; famiglie che abitano qui da generazioni e nuovi arrivati convivono. Non a caso molti lo chiamano «borgo». Eppure se di giorno viviamo in un luogo meraviglioso, dopo le 23 lo scenario cambia, trasformandosi in movida selvaggia. Da qui la rabbia dei residenti, le proteste e la richiesta di aiuto all’amministrazione co­munale. La situazione ha raggiunto un tale livello di degrado da necessitare un presidio fisso delle forze dell’ordine. Non possiamo però limitarci a questo. Mi trovo in completa sintonia con quanto scritto da Ernesto Olivero su queste pagine: «Ogni situazione, anche la più difficile, può cambiare, se ci mettiamo in gioco in prima persona chiedendoci cosa possiamo fare».
Vorrei perciò iniziare col condividere la mia esperienza. Quando sono arrivato nella chiesa di Santa Giulia, guardavo con dolore l’enorme massa di giovani allo sbando sotto le mie finestre. Cosa avrei potuto fare? Come raggiungerli? Parlando con i miei confratelli ci siamo detti: «Apriamo la nostra casa ai giovani. Offriamo loro la possibilità di studiare qui, di mangiare con noi, mostrando che ci si può divertire in modi più costruttivi». All’inizio partecipavano in pochi o spesso eravamo soli, ma non ci siamo scoraggiati. Piano piano i ragazzi hanno superato la timidezza e la paura di essere costretti ad andare a messa e, nell’instabilità che li caratterizza, hanno scoperto una casa come luogo di libertà, da cui partire e a cui poter sempre ritornare. Un luogo dove crescere condividendo la vita con coetanei e persone più grandi a cui guardare. Così questo piccolo seme è cresciuto nel tempo e oggi ci sono circa 150 giovani che frequentano la nostra comunità, anche se più dei numeri contano le loro testimonianze. Cè chi aiuta i poveri con la Caritas, chi fa servizio babysitter alle famiglie, chi insegna catechismo, chi pulisce i bagni e anche chi serve ai tavoli. In primavera infatti si svolge “Maggio in Oratorio”, un mese di appuntamenti sportivi, culturali, musicali, gastronomici, che coinvolge 5 mila persone e nel quale prestano servizio volontario circa 60 adolescenti. I ragazzi scoprono di essere utili, di potercela fare, di avere talenti da spendere non solo per guadagnare o avere più potere ma per aiutare gli altri. Scoprono che l’amore fraterno non è un’utopia irrealizzabile, ma una strada su cui è possibile incamminarsi ogni giorno, anche dopo cadute o tradimenti.
Di fronte a un’emergenza educativa così grande, mi capita a volte di scoraggiarmi. Ma se guardo la testimonianza dei nostri ragazzi e le tante persone che già ci sostengono, sono fiducioso che questo piccolo seme potrà crescere. Certo è necessario l’aiuto di realtà pubbliche e private pronte a collaborare per il bene delle nuove generazioni.

Pubblicato su La Stampa

Gianluca Attanasio è parroco di Santa Giulia, a Torino. Nella foto, durante una festa in parrocchia.

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