«Ricorda: che non passi un solo giorno della tua vita in cui non preghi la Madonna affinché la tua vita sia la testimonianza di Cristo. Qui non c’entra il sacerdozio. Questa è l’unica ragione per la quale si nasce, si vive e si muore». Così mi disse don Giussani, quando entrai in seminario. Ripeto dentro di me quelle parole tutti i giorni durante la messa, al momento della consacrazione. Con il passare degli anni, ho scoperto che esse sono la fonte della gioia e della vera soddisfazione nella mia vita. Mentre cresce la coscienza del mio limite, nella fedeltà al cammino, mi rendo conto che è Lui che si fa presente a me e a coloro che accompagno.
Insegno storia e filosofia (dai greci fino al Medioevo) in un’università di Città del Messico. Alla fine di ogni semestre, invito gli studenti con cui è nato un rapporto più stretto a partecipare alla scuola di comunità. Quest’anno si sono aggiunti cinque nuovi ragazzi. Il numero dei partecipanti è così raddoppiato.
Durante un recente incontro abbiamo parlato dell’aborto. Due dei nuovi si sono subito dichiarati a favore: o perché ritengono che questa possibilità debba essere offerta, anche se personalmente non vi farebbero ricorso, o perché partono dalla convinzione che la legge naturale non esiste e che forse Dio aspetta le dodici settimane per infondere l’anima nel corpo (sic!), in modo da permettere l’aborto.
All’inizio sono rimasto un po’ sconcertato. Uno dei due, proprio la volta precedente, aveva detto di voler partecipare a questi incontri per riprendere in mano la sua fede. Così, alla fine della conversazione sono intervenuto brevemente, dicendo che un giudizio vero può nascere soltanto dalla propria esperienza, da ciò che ci ha fatto valorizzare la vita fino ad amarla. Solo la coscienza dell’amore ricevuto ci può far desiderare di offrirlo ad altri.
Dopo che me ne sono andato dalla scuola di comunità, le cose si sono messe anche peggio perché la discussione si è accesa da entrambe le parti. Quando l’ho saputo, ho pensato che il numero dei partecipanti si sarebbe ridotto a quello dell’inizio del semestre. E invece sono ritornati tutti. Alcuni sono venuti a cercarmi in ufficio. Con altri sono andato a pranzo e hanno voluto riprendere il tema.
L’impostazione dell’università e la cultura in cui viviamo favoriscono nei giovani un atteggiamento positivistico e individualistico. È una persecuzione sottile e penetrante, che impedisce a questi ragazzi di leggere la propria esperienza e li rende schiavi della mentalità dominante. Anche in un ambiente dominato dall’ideologia laicista, però, qualcosa di nuovo è accaduto per loro: è nato un rapporto di stima e di affetto che è più forte delle opinioni, anzi le rende una possibilità di dialogo aperto. Anche se iniziale, questo rapporto è un nuovo punto di partenza. Sebbene io lo abbia desiderato, mi sorprende, perché capisco che non dipende da me, ma è Cristo che si manifesta. Nella fedeltà a questa amicizia c’è la promessa di un compimento perché è Cristo che rinasce in essa.