Quando uscì il film di Krzysztof Zanussi sulla vita di Giovanni Paolo II, facevo la quarta ginnasio. Era il 1981. Ci portarono a vederlo con tutta la classe.
Nella prima parte del film, Zanussi dedica alcune sequenze al periodo in cui Karol Wojtyła si stava preparando per diventare sacerdote. Al tempo della occupazione tedesca, il cardinale Adam Sapieha aveva fondato un seminario clandestino per la diocesi di Cracovia. I seminaristi studiavano, nascosti in diversi rifugi. Nell’estate del 1944, con i russi alle porte della capitale polacca, scoppia l’insurrezione di Varsavia, che i nazisti reprimono nel sangue dopo due mesi di combattimenti.
Descrivendo quel momento, Zanussi ci porta in un grande salone del vescovado di Cracovia. Due collaboratori del cardinale stanno facendo anticamera e commentano i fatti di Varsavia mentre aspettano l’arcivescovo. Nel frattempo, intorno al palazzo vescovile i soldati tedeschi stanno già rastrellando le strade. Tutti i giovani maschi vengono arrestati e deportati per evitare che anche Cracovia si sollevi. L’arcivescovo infine arriva e concede ai due preti una breve udienza. Vuole che radunino nella sua casa i seminaristi clandestini, nella speranza che il suo prestigio basti a proteggerli. Uno dei due riceve l’incarico di andare subito a cercarli.
Segue una scena che, quando avevo quindici anni, mi rimase molto impressa. Il sacerdote inviato dal cardinale entra nel cortile interno di una casa di periferia. Il cancello rimane aperto sullo sfondo. Karol sta studiando in una stanza al piano terra. Si è appena preparato un tè. Il prete dà un colpetto al vetro della finestra, Karol lo riconosce e si affaccia. «Vieni, raccogli le tue cose. Devi andare altrove». «Per quanto tempo»? «Per sempre». Il giovane riflette per un breve istante. Poi stacca una giacca da un chiodo della parete e, mentre il prete si guarda intorno per assicurarsi che nessuno li noti, raccoglie poche altre cose ed esce dalla stanza. Il regista chiude la scena indugiando, in modo forse un po’ didascalico, sulla tazza di tè ancora fumante che rimane sul tavolo.
«Vieni, raccogli le tue cose. Devi andare altrove». «Per quanto tempo»? «Per sempre».
Qualche scena più avanti, Zanussi documenta la decisione del cardinale Sapieha di anticipare l’ordinazione di Wojtyła e di inviarlo a Roma per metterlo al sicuro. La Polonia è intanto passata sotto il controllo sovietico. La cerimonia in cui Karol diventa sacerdote si svolge il 1 novembre del 1946 nella cappella privata del cardinale, senza invitati.
Le immagini che ho richiamato mi sono tornate alla mente nelle scorse settimane, mentre riflettevamo su una decisione importante, che avrebbe toccato i nostri ordinandi e le loro famiglie.
Quest’anno le ordinazioni dei diaconi e dei sacerdoti della Fraternità san Carlo, che di solito si celebrano in modo solenne in una delle basiliche romane, seguite da una bella festa con amici e parenti da tutto il mondo, si sono svolte in forma inconsueta. A causa della pandemia, infatti, i nostri giovani fratelli sono stati ordinati sacerdoti e diaconi ciascuno nel luogo in cui si trova: a Colonia, a Bogotá, a Washington, a Torino e infine a Roma. Pochi parenti e amici hanno potuto partecipare alle cerimonie e i festeggiamenti saranno contenuti, come impongono le misure di prevenzione del contagio.
Certamente la circostanza che stiamo attraversando è meno drammatica di quella che condizionò le decisioni sul percorso del futuro papa. Nondimeno, mi ha colpito la prontezza con cui i nostri seminaristi e diaconi hanno accettato il sacrificio che è stato loro chiesto. Non tutti infatti hanno potuto godere della presenza dei propri genitori e fratelli, o della compagnia degli amici che avrebbero voluto invitare. Prima di orientarci verso questa soluzione, abbiamo naturalmente riflettuto insieme e ponderato le possibili alternative. Infine però, dopo una preparazione durata molti anni, ha prevalso in tutti il desiderio di ricevere il sacerdozio nella data prevista per non posticipare il momento del sì definitivo a Cristo e per servire presto la Chiesa anche attraverso la grazia dei sacramenti.
Pensando ai volti dei dieci ordinati, e in particolare a quelli dei nostri cinque sacerdoti, ho rivisto la riflessiva tempestività del giovane Wojtyła di Zanussi che mi aveva così affascinato al liceo. Questa loro freschezza mi ha molto rallegrato.