Praga. È la notte delle chiese aperte. Una volta all’anno, d’estate, tutte le chiese cattoliche della capitale ceca spalancano le loro porte così che fedeli e curiosi, turisti e gente di passaggio, possano visitarle e pregarvi in orari in cui solitamente sono chiuse. Anche San Apollinare, la parrocchia che da nove anni è affidata alla Fraternità san Carlo, stasera è aperta fino a tardi. Si riempie via via di parrocchiani e amici, ma anche di tanta gente che vi entra per la prima volta. C’è chi è curioso di vedere com’è fatto l’interno di questo tempio, costruito nel 1360, in un’epoca lontana in cui la fede era ancora un’esperienza di popolo. C’è poi anche chi arriva per ascoltare la testimonianza che i fratelli, per l’occasione, mi hanno chiesto di fare.
Mentre aspetto di iniziare a parlare, guardo questa nostra bella chiesa, la sua struttura gotica e gli affreschi alle pareti, quasi del tutto consumati dal tempo. E mi viene in mente la storia di Antonio Gaudì: mi colpisce che quell’uomo abbia iniziato a costruire una grande cattedrale alla fine dell’800, quando l’Europa si stava già allontanando dai valori cristiani. Lo stupore cresce nel pensare che quella costruzione stia continuando ancora oggi, in una società sempre più divisa, dentro la quale la Chiesa appare come una presenza estranea o quantomeno lontana. Si racconta che un giorno, pochi mesi prima che l’architetto morisse, un suo amico gli abbia detto: “Gaudì, lei sta costruendo l’ultima delle cattedrali.” Lui lo corresse: “Non l’ultima delle cattedrali, ma la prima delle cattedrali dell’epoca contemporanea”.
Noi siamo, a volte, tentati di chiederci se abbia ancora senso, oggi, mettere in piedi delle opere di ispirazione cristiana: una scuola, un ospedale, case di accoglienza. Opere che hanno come origine la fede e come scopo l’evangelizzazione: non è anacronistico? Poi penso alla Sagrada Familia: se oggi c’è ancora nel mondo chi costruisce una cattedrale, forse ha ancora senso pensare di realizzare un’opera che si possa definire cattolica.
Che cos’è, in fondo, la Sagrada? Un’opera, il cui soggetto era – ed è – il popolo e il cui scopo era quello di dare gloria a Dio.
Per Gaudì era chiaro che quella cattedrale doveva essere un’opera del popolo. Amava e stimava i suoi operai tanto da costruire, a ridosso del cantiere, una scuola per i loro figli, così che questi lavoratori, mentre erano arrampicati sulle gru e sulle guglie, potessero guardare dall’alto i propri figli studiare e giocare. Non solo: per realizzare la facciata della Natività, l’unica portata a termine mentre l’architetto era ancora in vita, aveva scelto, come modelli per i personaggi che stava scolpendo, la gente del popolo che abitava i quartieri vicino alla chiesa nascente.
La Sagrada, così come le cattedrali medievali, era inoltre un’opera educativa. Il suo scopo era educare alla fede lo stesso popolo che la stava edificando. E il primo a sentirsi educato era proprio lui, Gaudì, il quale ha lasciato scritto: “Non ero io a costruire l’opera, era l’opera che costruiva me”.
Penso allora a noi, alla nostra Fraternità, alle nostre missioni: anche noi nasciamo da un’esperienza di popolo, anche noi desideriamo con la nostra vita dare gloria a Dio. Anche a noi è chiesto, innanzitutto, di educare alla fede le persone che incontriamo, sapendo che da questo siamo noi i primi ad essere educati.
Il primo modo per realizzare questo nostro compito è di metterci alla scuola delle opere che ci sono state consegnate, a partire dalle chiese e dalle parrocchie che ci vengono affidate, facendo rivivere la fede che le ha originate. Quella fede che, sola, può essere l’origine delle nuove opere e delle nuove cattedrali che ancora aspettano di essere costruite.
Nella foto, giochi con i ragazzi durante una convivenza a Subiaco (foto Denis Billi, BMBphoto).